Gli anni amari č l’attraversamento di un’epoca, di quei vitali, difficili, creativi, dolorosi e rimossi anni ’70. Č anche la rievocazione di un necessario movimento per i diritti, come quello omosessuale, che doveva inventare forme nuove per farsi riconoscere. Ed č soprattutto il ritratto di un ragazzo la cui genialitŕ, la cui libertŕ interiore e la cui gioia di vivere erano troppo intense per il mondo che lo circondava. Gli anni amari č tutto questo, o almeno cerca di esserlo.
Mieli era un genio, che ci ha sedotto, come riusciva a sedurre tutti coloro con cui entrava in relazione. Ma era anche un ragazzo immerso in una profonda solitudine, quella in cui aveva costruito la sua bolla di sopravvivenza e quella in cui era relegato da chi lo considerava troppo snob o troppo scomodo; la solitudine di chi ha imparato a farcela da solo per sopravvivere a dispetto di tutto e tutti, e la solitudine in cui si č ritrovato per l’ennesima volta quel giorno di marzo dell’83 in cui, a soli 30 anni, ha deciso di togliersi la vita.
Gli anni amari sono tutto questo.
Sono gli anni in cui tutto sembrava possibile e non lo era.
Sono gli anni lontanissimi del nostro passato recente.
Sono gli anni di un ragazzo che ha vissuto – con la sua aliena dolcezza – l’amarezza di un’esistenza simile a quella di nessun altro.
Si chiamava Mario.
O, se preferite, Maria.
Andrea Adriatico