Tito e gli Alieni
Raro ma non troppo (negli ultimi anni: Gipi, Manetti, Manuli, ...) ritrovare nel cinema d'autore indipendente italiano il riferimento a una qualche presenza "aliena", sempre affrontata con taglio metaforico e con una artigianalità dell'effetto speciale apprezzabile.
Stupisce quindi fino a un certo punto ritrovare
Valerio Mastandrea in mezzo al deserto del Nevada alla ricerca di un contatto con gli extraterrestri, protagonista "sbilenco" dell'opera seconda di
Paola Randi, "
Tito e gli Alieni", dopo l'apprezzato "
Into Paradiso".
Zio di un paio di ragazzini rimasti senza genitori a Napoli, si ritrova a far loro da genitore e a "svegliarsi" inevitabilmente dal torpore e dalla crisi in cui è caduto dalla morte della moglie e dal fallimento (quasi certificato) di un suo esperimento di dialogo con gli alieni, motivo per cui vive da anni in una baracca in mezzo al deserto, nei pressi dell'Area 51.
Il dialogo impossibile (se non con il cuore, e con un po' di inventiva) con i cari defunti è ricercato con la stessa pervicacia di quello con gli alieni, e forse un robot casereccio ma potentissimo, unito all'arte di arrangiarsi partenopea riusciranno in qualche modo a smuovere la situazione, permettendo ai ragazzi e allo zio di elaborare i rispettivi lutti e alle loro vite di ripartire.
Tante, davvero, le belle "cose" di questo film: alcune immagini, le location, diverse trovate artigianal-fantascientifiche, i videomessaggi postumi di
Gianfelice Imparato, lo sguardo sognante e malinconico di
Clemence Poesy, la performance
stropicciata di cui Mastandrea è ormai maestro.
Quello che non torna, a conti fatti, è l'insieme, in un film che punta molto in alto ma riesce solo in parte. Ma ce ne fossero molti di più di "esperimenti" simili nel cinema italiano!
25/11/2017, 12:10
Carlo Griseri