Vincenzo Salemme e Vinicio Marchioni ne "Il Contagio"
Se nel loro film d’esordio
Botrugno e Coluccini andavano a esplorare Corviale, con lo sguardo non troppo esperto di cose di periferia ma almeno giovane e ingenuo, ne "
Il Contagio" si affidano, per raccontare la periferia romana, addirittura a un modenese trapiantato a Milano e che un po’ come la volpe con l’uva finisce per sostenere nel suo romanzo che “Per me ormai Roma è questa, non quella del Pantheon o di Piazza Euclide: non i monumenti di gesso che si ammirano dal Gianicolo né il giro di cupole e campanili che disegnano i gabbiani dalla terrazza Olivetti. La Roma che per
lui era straniera, da volerci quasi il visto per entrarci: è ormai straniera anche per me (prosegue
Walter Siti); non mi restano che le borgate, ma le borgate senz’anima, perché l’anima delle borgate era
lui”.
Lui era Marcello, il personaggio interpretato da
Vinicio Marchioni, che finisce male per aver provato a fregare i malavitosi del quartiere. E questo brano, insieme ad altri del romanzo, viene letto da
Vincenzo Salemme, Walter, professore e scrittore di periferia.
Siti è grande esperto e curatore dell’opera di
Pier Paolo Pasolini, ma non è Pasolini. Ci puoi mettere lo scrittore omosessuale, ci puoi mettere l’immigrazione interna di nuova generazione (dalla Campania o dalla Calabria) ci puoi mettere quel che credi di aver visto oggi in borgata ma senza neanche arrivare a sfiorare la poesia, lo sguardo e il talento di Pasolini.
E, malgrado gli sforzi, i due registi non riescono ad aggiungere al racconto originale l’ingrediente giusto, capace di convogliare l’empatia dello spettatore verso questo o quel personaggio, la curiosità verso questo o quell’episodio. Anche l’aggiornamento di cronaca, con i banditi del quartiere, comandati da un certo Carmine (il bravo e misurato
Nuccio Siano, anche coautore della sceneggiatura) che si allargano verso la politica e cominciano a gestire una cooperativa sociale truffaldina, ricordando da vicino le vicende di mafia capitale.
Anche qui non c’è appeal, la storia è fredda e le modalità già viste, rimanendo tentativo di attualizzare il film lavorando su una cronaca da tg che non arriva da nessuna parte.
"
Il Contagio" comincia con un esercizio di stile, un piano sequenza che mostra la facciata e gli abitanti di un palazzo di una periferia che più prima che poi sarà gentrificata, ricacciando per due spicci oltre il
sacro Gra la massa di disoccupati, delinquentelli senza cervello e meridionali chiacchieroni che gli autori hanno piazzato lì, nel quadretto condominiale. Stile che prosegue, tra un romano tramonto e l’altro, con molte scene girate “a mano” e le inquadrature volutamente mosse che fanno verità ma mai novità.
Questo di Botrugno e Coluccini è un film molto scritto e costruito (i personaggi parlano a mitraglia) e non ha, come detto, la profondità del racconto firmato
Pier Paolo Pasolini, ma neanche la forza cinematografica e d’intrattenimento dei film di
Stefano Sollima, provando però a superare l’opera d’autore grazie a un cast di tutto rispetto, tra il televisivo e il cinematografico commerciale, insomma che fa “botteghino”: da
Vinicio Marchioni a Vincenzo Salemme, da
Anna Foglietta a Giulia Bevilacqua, fino a
Maurizio Tesei, tanto preciso in
Jeeg Robot di Mainetti quanto sfrenato nei panni del coatto ripulito ma sempre coatto.
01/09/2017, 15:30
Natalia Giunti