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Il ricordo di Rosi, fra retorica e critica


Il ricordo di Rosi, fra retorica e critica
Francesco Rosi
Che Francesco Rosi sia stato uno dei più grandi registi della nostra cinematografia è fuori discussione, e che abbia realizzato opere di straordinario ingegno e spirito civile è altrettanto indiscutibile, però non si può non riconoscere che intorno alla sua morte la stampa (specializzata e non) vi abbia ricamato fin troppa retorica.

E anche l’omaggio che qualche giorno fa la città di Napoli ha dedicato al (suo) regista - nonostante le apprezzabili e commosse parole spese, tra gli altri, da Raffaele La Capria, Giuseppe Tornatore, Mario Martone - la celebrazione è apparsa eccessivamente celebrativa, perdendo così un’occasione per (iniziare) a ripensare in forma critica la filmografia di Rosi e il contributo da lui dato alla cultura italiana del secondo dopoguerra e quelle che sono state le sue mancanze, i suoi peccati.

In primis - come ha fatto notare su Avvenire (11/1/2015) l’unica voce fuori dal coro delle celebrazioni, Goffredo Fofi, quell’impostazione laico-borghese di stampo illuministico che non ha permesso a lui, e a molti grandi nomi del nostro giornalismo e della nostra cultura, di comprendere, leggere ed interpretare adeguatamente la confusione dei nostri tempi con la necessaria acutezza.

Rosi - chiosava Fofi - si ostinava a pensare e sostenere che invece capiva e vedeva, e che sapeva come giudicare, come predicare”.

17/03/2015, 17:11

Mimmo Mastrangelo