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La nota di Paolo Del Brocco di Rai Cinema sull'articolo de L'Espresso


La nota di Paolo Del Brocco di Rai Cinema sull'articolo de L'Espresso
Siamo al Festival di Cannes, con 5 titoli italiani tutti realizzati anche grazie agli investimenti di Rai Cinema, portando con orgoglio il racconto del nostro Paese nel mondo e il meglio della sua produzione culturale, avendo come unico obiettivo lo sviluppo della nostra industria culturale e della produzione indipendente. Non per questo ci aspettiamo elogi, ma troviamo avvilente leggere un articolo, come quello pubblicato oggi sull’Espresso, in cui si parla di “spreco”, cosa diventata ormai un insopportabile sport nazionale quando si parla della RAI.
L’inchiesta dell’Espresso è carente e con errori di valutazione. E’ sostanzialmente “ignorante” nel senso che ignora i meccanismi più elementari del mercato dei diritti tv, le normali logiche di approvvigionamento di un magazzino diritti e di utilizzo dello stesso nei palinsesti di qualsiasi televisione al mondo. Ignora per esempio che i film e le serie straniere vanno doppiate con costi a volte pari al prezzo del diritto, ignora che le 143 puntate della telenovela argentina sono state tutte trasmesse e che se venisse replicata solo 3 volte nei prossimi 6 anni di vigenza del diritto, avremmo un costo per passaggio pari a  3000 euro (è un prezzo alto?). Ignora gli scenari concorrenziali e le rigorose regole interne che Rai e Rai Cinema applicano sugli  investimenti in diritti.  Ignora che Rai Cinema, in questi ultimi anni, ha efficientato ed ottimizzato, in modo radicale, le politiche acquisitive dei diritti tv, dimezzando i prezzi di acquisto rispetto al passato e comprando più prodotto a migliori condizioni, avendo incrementato significativamente gli anni di licenza e il numero di passaggi tv del singolo titolo. Ignora tutto ciò, perché semplicemente non ha chiesto queste informazioni. Quanto sopra non è una generica affermazione di principio: i dati parlano a chiunque avesse la cortesia di analizzarli in modo oggettivo. Da questa analisi si arriverebbe facilmente alla  conclusione che Rai Cinema non è fonte di sprechi ma, invece,  centro di eccellenza nel settore.La carenza di informazioni è particolarmente evidente quando l’articolo  associa società ungheresi a presunte “triangolazioni” fraudolente, ignorando la totale legalità dei rapporti intrattenuti da tutti gli operatori italiani ed europei del settore con queste realtà distributive. Per quanto concerne la nostra gestione si ribadisce in modo categorico che in Rai Cinema non esiste nessun “metodo Agrama”. Non esistono rapporti con “intermediari” finalizzati a gonfiare i prezzi di acquisto, né presunte triangolazioni. Un solo macro dato: in pochi anni siamo passati da 4.500 ore di prodotto d’acquisto utilizzato per coprire i fabbisogni delle reti generaliste ad oltre 6.200 ore, con  investimenti che si sono ridotti da 215 a 145  milioni di euro.Su 2 miliardi di investimenti nei 14 anni di vita di Rai Cinema - come abbiamo già avuto modo di spiegare all’Espresso nel 2011- sono state coperte oltre 60 mila ore dei palinsesti dei canali generalisti e oltre 70mila ore di quelli dei canali tematici, con  i conseguenti ricavi pubblicitari per il Gruppo.Basterebbe fare una semplice divisione dell’investimento complessivo per il numero di ore trasmesse per capire il costo medio orario assolutamente vantaggioso e  via via minore nel corso degli ultimi anni. Peraltro, affermare che “140 milioni sono una somma enorme” denota una ignoranza del contesto: sarebbe sufficiente un confronto con gli investimenti di tutti i broadcaster, nazionali e internazionali, per constatare come gli investimenti Rai siano ben al di sotto delle medie.L’Espresso ignora inoltre che, come da regolamento dell’Agcom in materia di contabilità separata, le risorse destinate all’acquisto di diritti di prodotto internazionale provengono dai ricavi pubblicitari e commerciali e non da risorse pubbliche. Basterebbe una semplice verifica con AGCOM per informare i lettori in modo corretto sul punto. Nell’articolo si fa, inoltre, confusione tra le attività di acquisto diritti e quelle, obbligatorie, di investimento nella produzione cinematografica. La “mission” di Rai Cinema consiste nel  sostenere la produzione cinematografica indipendente, collaborando non solo con i produttori “storici” e consolidati – i “colossi” citati nell’articolo -  ma anche con quelli esordienti, cercando il miglior equilibrio tra le esigenze finanziarie del film e le compatibilità economiche di Rai Cinema. La confusione si manifesta in modo evidente quando nell’articolo, immaginando di rivelare chissà quale scorrettezza, si critica Rai Cinema per avere acquisito “soltanto”, a fronte di somme importanti,  una quota del  41% di un film. Chiederemo all’Anica di spiegare agli amici dell’Espresso le consuete modalità operative adottate nel settore volte a favorire lo sviluppo dell’industria. Siamo invece d’accordo sul fatto che Rai Cinema ha finanziato sostanziosamente film di sconosciuti e ne siamo perfino orgogliosi. Senza questa attività infatti oggi non ci sarebbero Brizzi, Crialese, Bruno, Costanzo, Rohrwacher, Muccino, Golino, Diritti, Pif, Dante, Bruni, Sibilia, Ponti, Riso, Di Costanzo e tanti altri.
E’ legittimo che una testata giornalistica  approfondisca quello che ritiene più utile e di pubblico interesse; sarebbe auspicabile, tuttavia, che, prima di pubblicare una qualsiasi inchiesta, ci si documenti in modo appropriato, e non basandosi sulla semplice lettura di qualche documento, peraltro riservato, probabilmente uscito dall’azienda di straforo e in modo illegittimo. A questo proposito, invitiamo l’Espresso a trascorrere con noi  anche solo qualche  giorno per verificare come operiamo nel mercato della  compravendita di diritti e nelle negoziazioni con i produttori e i distributori. Sarà poi altrettanto libero di criticarci, ma almeno a ragion veduta, constatando di persona eventuali mancanze. Chiederemo formalmente all’Espresso, infine, di accogliere un nostro articolo scritto, con la stessa estensione e rilevanza dell’articolo odierno, onde consentirci di spiegare nel merito, punto per punto, ognuna delle operazioni che ci vengono contestate. Nel frattempo, respingiamo gli impropri accostamenti tra Rai Cinema e “falsi broker vicini alla criminalità organizzata”, questione sulla quale abbiamo già fornito esaurienti chiarimenti agli organi di controllo interno e alla Commissione Parlamentare di Vigilanza, così come ogni allusione a favoritismi nei confronti di presunti amici.Rileviamo inoltre che si continua a citare un’indagine penale che, trascorsi 2  anni dal suo avvio, come lo stesso autore riconosce, non ha ad oggi portato a configurare alcun addebito nei confronti di Rai Cinema e di chi ci lavora. Da un’autorevole testata ci aspetteremmo,talvolta, anche il racconto di tutto ciò che Rai Cinema ha costruito in questi anni, il contributo e il lustro che ha dato alla società, alla cultura del Paese, all’industria coproducendo 500 film, di cui la metà di giovani talenti, 170 documentari,  con circa 600 milioni di euro di investimento, collaborando con  370 registi e 250 società di produzione,  realizzando  tanto cinema civile e sociale, vincendo i premi più prestigiosi con film che, senza il nostro sostegno, non sarebbero stati presenti ai principali Festival Internazionali. Per concludere con leggerezza, e tanto per restare  in tema di simpatiche citazioni cinematografiche, se  l’articolo collega Rai Cinema a Blade Runner, l’Espresso a noi sembra assomigliare allo Steiner de “La Dolce Vita”, quando dice: "Io sono troppo serio per essere un dilettante, ma non abbastanza per diventare un professionista".


16/05/2014, 16:05