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Note di regia del documentario "Stelvio. Crocevia della Pace"


Note di regia del documentario
Ho sempre provato una forte emozione quando, sin da piccolo, mi trovavo a salire al Passo dello Stelvio. Il suo ghiacciaio rappresentava da una parte la sommità di un ambiente naturale a me familiare, quello dei territori alpini italiani dai quali provengo, e parimenti costituiva un mondo completamente diverso, addirittura capovolto, nel quale l’estate era un caldo e innevato inverno, mentre l’inverno rimaneva un mistero, poiché inaccessibile a causa della strada bloccata per troppa neve.
Ricordo ogni tornante della straordinaria serpentina progettata da Carlo Donegani e che sembrava essa stessa oggetto di fantasia, come se l’auto con la quale salivo stesse correndo sul dorso di un gigantesco serpente. Fino alla Piana del Braulio, dove le montagne si aprivano per svelare una vallata inaspettatamente dolce, i cui unici abitanti erano e sono i contadini che traggono dalle vacche alpine il celebre burro. Ricordo infine gli ultimi ripidi tornanti, per giungere al Passo a quasi a tremila metri, da cui ancora salire prendendo ben due funivie, per arrivare infine quasi a toccare il cielo immersi in una distesa di bianco.
Con questo film ho voluto comporre un affresco dedicato a un luogo tanto candido e misterioso, e nel farlo ho cercato di suggerire metaforicamente il ritmo dell’ascesa cadenzata che ogni frequentatore della montagna ha da compiere se vuole raggiungere la cima. Ho ritratto lo Stelvio facendomi accompagnare dalle parole di chi lo frequenta e lo ama, cercando nell’ascolto con i miei protagonisti e nello sguardo della macchina da presa, di comunicare il loro rispettoso amore verso quelle rocce, quelle nevi, quei fiori e quel filo spinato che il ghiacciaio ancora disvela a testimonianza di un tempo in cui su quelle vette si combattè la Grande Guerra.
La difficoltà maggiore nel produrre "Stelvio. Crocevia della Pace" è stata la mutevolezza del clima in alta quota. Ogni scena, ogni programma, ogni speranza ha sempre dovuto sottostare alla volontà della montagna, del suo vento e della sua neve. Ricordo serate di lunghe discussioni con la troupe e consultazione di molteplici siti meteo per decidere quando chiamare il braccio meccanico che avrebbe potuto riprendere il coro La Bajona presso la Cima delle Tre Lingue, ricordo i numerosi posticipi dati agli operatori delle camere volanti per le scene sul crinale del Monte Cristallo.
Soprattutto ricordo l’emozione di andare a letto sconfortato per il cielo inaspettatamente cupo e piovoso e alzarmi nell’azzurro terso che attendeva l’elicottero per le riprese aeree dei titoli di testa e di coda. Riprendere Stelvio ha significato anche correre dei rischi in termini di programmazione, che abbiamo tuttavia sempre affrontato con la consapevolezza che la montagna sa donare emozioni uniche, se avvicinata con rispetto e dedizione.

Alessandro Melazzini