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ADRIANO PICCARDI - Il Fotografo e la Chitarra


Il direttore di Cineforum omaggia i 100 anni dalla nascita di Michelangelo Antonioni con un personale ricordo per il nostro sito


ADRIANO PICCARDI - Il Fotografo e la Chitarra
Blow Up
Quando riuscii finalmente a vedere per la prima volta "Blow Up" era il lontano 1969. Ero riuscito per intrallazzi amicali a intrufolarmi in un cineforum parrocchiale nonostante non avessi ancora compiuto 18 anni.

Fascino dell’indagine sul fotogramma fino al suo dissolversi; magia politica della sequenza finale. Tutto secondo programma. Ma ricordo in particolare l’impatto che ebbe su di me la sequenza – apparentemente laterale – del concerto degli Yardbirds concluso dalla distruzione della chitarra elettrica. Per la casualità così poco mitopoietica con cui iniziava la catena di eventi conclusa dal gesto “sacrificale”, ma soprattutto per la noncuranza con cui – dopo aver lottato con gli altri spettatori per appropriarsene – David Hemmings abbandona la reliquia faticosamente conquistata, lasciandola cadere lungo il marciapiedi come un relitto inutile e senza valore.

Com’era possibile che Hemmings/Thomas potesse comportarsi in modo così contradditorio con tanta nonchalance? In quel breve momento del film si concentrava, in realtà, un intero saggio di critica dell’economia politica dell’oggetto/segno applicato al culto della personalità praticato nella cultura rock di quel periodo. Il fatto che io mi sentissi per ovvi motivi partecipe entusiasta di quella cultura contribuiva maggiormente allo straniamento prodotto da quelle immagini e alla forza della rivelazione che ne derivava. Mi era stata prospettata come in una folgorazione la differenza tra chi (il fotografo) fa davvero parte di un certo contesto perché vi opera all’interno, producendone le forme stesse della sua riconoscibilità, e chi invece (gli anonimi componenti del pubblico) di quel contesto si limita a consumare i prodotti, come mito/merce, pensando in tal modo di esserne a tutti gli effetti protagonista. Differenza che trasformava l’apparente trascuratezza del primo nell’espressione di una leggerezza protagonista dello spirito del tempo, e l’aggressività dei suoi contendenti in patetica ammissione di marginalità.

Il mio piccolo e molto personale omaggio ad Antonioni sta tutto qua: da quel momento gli rimanevo debitore del mio primo embrione di una consapevolezza capace di farmi superare anche i limiti propri dell’appartenenza generazionale (i più insidiosi!) per aprirmi la strada verso la lettura critica dei segni che ci contemplano.

05/10/2012, 09:00

Adriano Piccardi