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Libro/film - "Acciaio", da Silvia Avallone a Stefano Mordini


Presentato a Venezia 69 e in attesa di arrivare in sala, il film prodotto da Palomar porta sullo schermo Piombino e la sua acciaieria


Libro/film -
Era una storia molto radicata sul territorio di Piombino quella raccontata da Silvia Avallone nel suo "Acciaio", libro scritto nel 2010 e vincitore - tra i tanti - anche del Premio Campiello. Una storia che Stefano Mordini si è visto "consegnare" da Carlo Degli Esposti e dalla Palomar con l'obiettivo di realizzarne un film, la cui sceneggiatura, scritta insieme a Giulia Calenda, ha avuto bisogno dell'apporto della stessa Avallone per "entrare" in quei luoghi e in quelle case.

Il copione del film elimina alla base alcuni personaggi che avrebbero reso il quadro forse troppo complesso: solo accennati, quindi, i più adulti, quei genitori che però tanto importanti risultano essere per la crescita dei loro figli.

Il "delinquente sognatore" padre di Anna e Alessio (interpretato da Massimo Popolizio) è più un'assenza e il suo ruolo compare solo nel finale, fugacemente. Senza troppo spessore è invece quello della madre, sulla pagina una donna combattiva fuori ma remissiva dentro casa e sullo schermo semplice comparsa, o poco più.
Il violento padre di Francesca resta nei fatti, ma sono solo accennati (e scompare la morbosità dei suoi appostamenti sul terrazzo), la madre praticamente non c'è.

Può sembrare una mancanza da poco, ma è il segno che forse quella generazione è già troppo "senza speranza" per meritare spazio nel racconto, assenza però che rende i percorsi dei giovani personaggi meno chiari e meno compiuti (specie quello della ribelle Francesca, che arriva un po' troppo facilmente a drastiche scelte di vita).

Per stessa ammissione del regista, il focus del film è puntato su Anna e Alessio, personaggi decisamente più approfonditi di tutti gli altri (lui anche forse più che nel libro, specie nel suo rapporto con Elena, che Silvia Avallone presentava solo sullo sfondo). Oltre a loro due, è Piombino a meritarsi lo spazio di coprotagonista: i suoi spazi opprimenti, il totale della fabbrica e della città così vicini e così integrati rimangono negli occhi dello spettatore, specie di chi non ha mai visto di persona quel panorama.

Lo sguardo di Mordini, per forza di cose (siamo pur sempre nella bacchettona Italia, e le coprotagoniste hanno meno di 14 anni!), risulta meno "morboso" di quanto non ci si potesse aspettare dalla lettura del libro, in cui i corpi delle due amiche sono raccontati nei dettagli e mostrati senza remore a vicini e passanti (il "carnevale privato" in bagno, ma anche le moine in spiaggia).

Due parole, infine, sulla scena finale dell'incidente, molto lunga e articolata nel libro e decisamente meno efficace nel film: il capitolo che la Avallone dedica alla tragica fatalità è caratterizzato da una tensione costante e dall'imprevedibilità degli eventi (si sa che sta per succedere qualcosa a qualcuno, e i tre personaggi "papabili" sono tutti in scena contemporaneamente), mentre Mordini mette da subito al centro del bersaglio la figura di Alessio, chiamato ad espiare una scelta di vita accettata senza lottare.

Per rendere nel modo migliore sullo schermo "Acciaio" ci sarebbe voluto un film più lungo e spazi di manovra (anche produttivi) più ampi, ma il risultato è comunque un lavoro di tutto rispetto, fedele allo spirito del romanzo (aggiornato all'oggi) e ugualmente interessante.

11/09/2012, 09:30

Carlo Griseri