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Note di regia del film "La Misura del Confine"


Note di regia del film
Si può raccontare l’attualità delicatamente, senza necessariamente provocare e senza essere sguaiati, prendendo come punto di osservazione un inusuale rifugio di montagna che ospita personaggi che arrivano da diverse regioni italiane? Se sì, questo film ne è il risultato.
L’idea è quella di esplorare i sogni del presente mettendo i protagonisti di fronte al loro stesso passato e all’ipnotica attrazione che la montagna crea sui loro desideri. La misura del confine risulta così non un film sulla montagna, bensì un film ambientato in montagna, dove questa condiziona, catalizzandoli, i comportamenti di chi si trova –ognuno per un motivo diverso – ad incontrarla.
Il film è ambientato interamente in un affascinante rifugio situato in mezzo a panorami mozzafiato, al confine tra la Val d’Aosta e il Piemonte: il Vigevano. All’interno della costruzione, realizzata ai primi del ‘900 poco prima della spedizione della regina Margherita di Savoia in vetta al Monte Rosa, s’incontrano, attorno alla mummia, le vite insicure e confuse degli undici protagonisti. I rapporti sentimentali di ognuno di loro, dai topografi alle guide e ai gestori, sono come sospesi, pieni d’indecisioni appena accennate ma al tempo stesso facilmente riconoscibili, simili per tutti. L’unico che risulterà avere una relazione stabile è il rude, antico e silenzioso Ulrich, che non parla mai d’amore, ma la sera è atteso dalla moglie, che lui raggiunge saltellando lungo il sentiero che lo riporta in valle, agile come uno stambecco.
Quasi tutti, isolati in quel luogo, di fronte alle irrazionalità che si trovano ad incontrare reagiscono come possono, abbandonando spesso logica e razionalità.
Gli unici che hanno i mezzi per interpretare la realtà sono i due topografi, uomini di scienza; ma la scienza, che loro utilizzano come strumento, non può risolvere tutto. Unisce, comprende. Affratella, anche, come succede ai due sensibili topografi. Ma nulla può fare nei confronti delle passioni umane.
Un breve discorso va fatto in merito ai film di e sulla montagna, spesso intrisi di retorica nel tentativo di riportare allo spettatore le emozioni provate dai protagonisti nelle loro spedizioni. In questo caso la montagna è, come si diceva, sia lo sfondo della storia, sia un contenitore delle storie di coloro che la montagna la abitano e la sfidano. La montagna, ed una montagna così alta come nel nostro caso il Monte Rosa, negli ultimi cinquant’anni, ha subito una profonda trasformazione. Da territorio ostico che ha spinto le popolazioni locali – spesso completamente isolate dal mondo per mesi a causa della neve – a sviluppare interessantissimi modelli di organizzazione e convivenza sociale, la montagna è oggi diventata una gigantesca palestra sportiva internazionale, alla quale collaborano i giovani del luogo, commercianti, costruttori, insomma tutta l’economia locale. Ma tutti, dal primo all’ultimo, vivono la continua sfida con quel totem simbolico costituito dall’immensa montagna, fonte di reddito e di competizione, in grado comunque di convogliare e scaricare tutta l’aggressività conservata ormai nei gotici racconti tramandati di generazione in generazione.
Le località di montagna escluse dai principali circuiti turistici sono quasi completamente abbandonate e sono in sostanza scomparse dalla memoria persino degli abitanti vicini. Memoria che il sindaco Bangher, uno dei protagonisti, spera di conservare grazie al ritrovamento di una mummia.
Il presente di ognuno è costruito sul passato, dal quale dipendiamo ineluttabilmente. La misura del confine, titolo dalle molteplici valenze, è la storia di un eterogeneo gruppo di persone che per un caso diventano testimoni di un antico delitto che le riguarda, ma del quale faticano a cogliere lo spessore morale.
E chi di loro tratta con superficialità la scoperta si trasforma in peccatore, proprio come i protagonisti delle leggende da loro stessi raccontate. Un po’ come succede nell’Italia contemporanea, la cui soleggiata cartina è attraversata dall’aereo che porta il topografo Giovanni Bruschetta dalle pendici del suo Etna alle imponenti Alpi, al confine con la Svizzera, per prendere le misure della linea virtuale che ci divide. Dal resto del mondo.

Andrea Papini