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Note di regia del documentario "Dante Ferretti: Scenografo Italiano"


Note di regia del documentario
Parlando di Dante Ferretti, Martin Scorsese si dice ancora sorpreso quando pensa che "uno degli artisti migliori che abbia mai lavorato nell'ambito dell'allestimento scenografico sia diventato uno dei miei collaboratori più validi". Basterebbe questa frase detta da uno dei grandi Maestri di Cinema per descrivere l'importanza dell'ultimo discendente di una stirpe di grandi scenografi italiani famosi in tutto il mondo: da Piero Gherardi a Danilo Donati a Mario Garbuglia.
Ferretti ha iniziato lavorando al fianco di Pier Paolo Pasolini, diventando lo scenografo prediletto di Federico Fellini e continuando a lavorare con alcuni grandi maestri del cinema di oggi: Scorsese appunto, ma anche Tim Burton, e Terry Gilliam, Brian De Palma, Neil Jordan, Julie Taymor. Le sue scenografie lo hanno portato a vincere due Academy Awards, tre Bafta, cinque David di Donatello e dodici Nastri d'Argento.
Quando ho incontrato Dante Ferretti la prima volta a Cinecittà per proporgli il documentario, ho avuto l'impressione di avere di fronte il Cinema, nella sua vera essenza e commistione di arte e artigianato. Dante, come racconta Tornatore nel documentario, "realizza scenografie che non si lasciano imprigionare dai limiti del fotogramma". Lo vedevo camminare per il suo studio e mi sembrava un uomo apparentemente ruvido e diretto, che però si muoveva con un grazia inaspettata attraverso le centinaia di suoi disegni, libri e fotografie che lo circondavano. Ho pensato allora quanto questa sua immagine corrispondesse al lavoro di scenografo, che ha anche fare con qualcosa di solido, ben piantato per terra, fatto di materiali e di misure geometriche. E quanto questo sia necessario per arrivare alla bellezza, alla grazia e alla poesia di una scenografia: elementi fondamentali per qualsiasi grande film.
Io ho realizzato alcuni documentari legati al cinema, raccontando e facendomi raccontare il dietro le quinte della "macchina cinema", cercando così di far scoprire allo spettatore il mestiere che si nasconde dietro quei nomi che, il più delle volte, troviamo nei titoli di coda.
E' successo con Rosabella, la storia italiana di Orson Welles, in cui il periodo italiano di Welles era raccontato da quei direttori della fotografia, montatori, direttori di produzione che avevano avuto la fortuna di lavorare con lui. E così è stato anche per il ritratto che ho fatto del grande produttore esecutivo di Fellini e Visconti: Pietro Notarianni (Il dottor Divago) e per la famosa sartoria cinematografica e teatrale Tirelli (Sartoria Tirelli. Vestire il cinema).
Ecco perché quando ho deciso di realizzare un documentario su Dante Ferretti e ho trovato il suo consenso insieme a quello dei produttori, che si son detti disposti ad imbarcarsi in questa avventura, è stata per me una vera e propria festa. Ed è stata una festa la lavorazione: andare a parlare di cinema e delle sue scenografie con registi come Martin Scorsese, Terry Gilliam, Julie Taymor, Jean Jacques Annaud, Liliana Cavani, Giuseppe Tornatore; produttori come Harvey Weinstein; costumisti e arredatori premi Oscar come Gabriella Pescucci e Francesca Lo Schiavo; attori come Leonardo Di Caprio; amici come Valentino Garavani e Carla Fendi. Così come anche vedere le sequenze di film come Gangs of New York, The Aviator, Shutter Island, Kundun, Titus, Sweeny Todd, Il nome della rosa, Storie di ordinaria follia, Ciao Maschio, La città delle donne, Ginger e Fred e farsi raccontare da Ferretti la genesi di alcune scenografie.
E al di là delle fotografie, dei fuori set e dei materiali di repertorio che ho inserito, è stato emozionante entrare in contatto con quei suoi enormi bozzetti, così pieni di colori e di passione verso il proprio mestiere. I testimoni e i film, insieme naturalmente a Ferretti stesso, hanno trasformato il nostro documentario in un viaggio: quello di un uomo poco più che adolescente che, partito da una piccola città delle Marche, arriva a Cinecittà e poi finalmente in America. Un viaggio con delle tappe ben precise. Si parte da Cinecittà appunto, dove Ferretti ha il suo studio e dove ha realizzato alcune delle scenografie più importanti per Fellini, Terry Gilliam, Martin Scorsese, Marco Ferreri ed Elio Petri. Poi le Marche, e Macerata in particolare, dove è cominciata la storia di questo grande scenografo, ragazzo innamorato di cinema, pittura e architettura. E ancora Torino, dove raccontiamo il Ferretti non soltanto scenografo cinematografico, ma artista capace di reinventare la struttura del Museo Egizio. New York. Dove abbiamo incontrato alcuni dei registi ed un produttore fondamentali per la vita professionale di Ferretti: Martin Scorsese, Harvey Weinstein e Julie Taymor.
E così alla fine di questo viaggio che è durato più di quarant'anni, il tempo della carriera di Ferretti, lo spettatore si accorgerà che raccontare la sua storia e il suo lavoro è diventato anche il pretesto per raccontare un mestiere, quello dello scenografo, nel quale l'eccellenza italiana, come accade per i costumisti, i musicisti e i direttori della fotografia, continua ad essere un esempio per chi fa cinema in tutto il mondo.

Gianfranco Giagni