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Emiliano Cribari: "La malinconia del mio cinema
a tratti tinta di tenerezza e comicità sono
i colori dominanti della mia quotidianità"


Emiliano Cribari, artista e regista indipendente, creatore del metodo "Le Cose che so di Me", da cui prende il nome anche alla sua casa di produzione cinematografica: tredici regole, "fuori da ogni poetica e poesia", alle quali si attiene fedelmente durante tutto il processo creativo di ogni suo film.


Emiliano Cribari:
Come nasce la sua passione per il cinema? Come è iniziata la sua carriera nel mondo della "settima arte"?
Emiliano Cribari: Le immagini, un po' come le emozioni, sono sempre state un vizio di famiglia. Ero infatti ancora un bambino quando già le prime cineprese e le prime videocamere abitavano con assiduità casa mia, grazie soprattutto alla passione di mio padre per questa forma di arte. Ciò nonostante, più che un punto di partenza il cinema per me è stato un approdo. I miei punti di partenza sono stati sicuramente la poesia e, quasi in parallelo, la fotografia. Finché nel 2004, facendo seguito ad alcuni "cortometraggi" realizzati fra amici, tutta una serie di curiose coincidenze, prima fra tutte la scrittura di una buona sceneggiatura, mi portarono al mio primo vero set, indipendente più che mai...

Ci può dire cosa è il "metodo Le Cose che so di Me", che da anche il nome alla sua casa di produzione cinematografica?
Emiliano Cribari: Il metodo "Le cose che so di me" è un insieme di tredici regole alle quali ormai da qualche mi attengo fedelmente durante tutto il processo creativo legato a ogni film. Fuori da ogni poetica, e direi anche da ogni poesia, ricordo perfettamente cosa accadde quando nacque l'idea di questo metodo: io non riuscivo a girare cosa e come volevo; cioè i miei desideri, sui set, continuavano a stridere con tutta una serie di cose che in quel momento non servivano assolutamente a niente, vale a dire per esempio ore e ore per preparare un'illuminazione piuttosto che un carrello o un dolly, o per truccare, o per pettinare un attore; per poi trovarmi a fine giornata magari con un movimento di macchina delizioso, certo, ma il più delle volte inutile e soprattutto soltanto con quello, cioè senza aver avuto la possibilità di coprire la scena con altre inquadrature per mancanza di tempo. Ero ed eravamo ingenui. Così, sbagliando film dopo film, in procinto di cadere in depressione mi sono chiesto, banalmente: "come nasce il cinema?", cioè al di fuori del violento show milionario sciorinatoci dai grandi produttori che "cos'è davvero il cinema?" E la risposta che mi sono dato è proprio in quelle tredici regole, con le quali oggi giro di più e meglio. In altre parole ho gettato nel cestino ciò che secondo me non serve quando non si hanno grandi budget a disposizione, puntando a quell'essenziale che, se ben realizzato, maschera ogni possibile carenza su altri fronti.

Nelle sue opere emerge sempre uno stato di solitudine e di insoddisfazione verso il mondo dei suoi protagonisti. Come mai questa scelta di rappresentare questi aspetti sociali?
Emiliano Cribari: Sono sempre stato convinto che l'arte, sotto qualsiasi forma, debba servire. Credo che se ho un senso come artista ce l'ho esclusivamente nella misura in cui racconto le cose che so di me, ovvero i più significativi aspetti autobiografici che segnano la mia vita: queste solitudini, quindi, queste malinconie a tratti tinte di tenerezza e comicità, sono i colori dominanti della mia quotidianità, e quindi anche del mio modo di raccontare. Per il momento so e amo fare questo, quando mi approccio dinanzi a un'opera scritta e diretta da me. Poi viene da sé che, come regista, mi presto anche ad altre storie, ma con molto meno entusiasmo e fiducia in me stesso. Queste tematiche, quindi, non sono una scelta ma un istinto: il frutto dell'osservazione di me stesso e del mio mondo.

"Tuttotorna" del 2005 si può considerare come il film decisivo per la sua maturità artistica?
Emiliano Cribari: Sì, assolutamente. "Tuttotorna" è un film che ho letteralmente odiato, e con il quale tuttora non riesco del tutto a fare pace: un film che ho visto e rivisto allo stremo, soprattutto per capire quale dovesse essere in futuro la direzione da prendere. È stato stato quasi un autodafé, un'autopunizione inflittami: in altre parole, la mia vera scuola di cinema. Ma è stato un film importante anche perché ha sancito la nascita di uno stile, perché ha provocato reazioni nel pubblico, perché ha portato a un'attenzione nuova su di me da parte della critica. Un film importante, infine, perché in quel piccolo set era come se fosse annidato uno spicchio di futuro: "Tuttotorna", infatti, è stato il punto di incontro con attori, attrici, collaboratori con i quali di lì a poco avrei fatto percorsi lunghi, affascinanti, traumatici, comunque fondamentali. Un film magico ma cattivo, insomma: che mi ha messo a nudo, che mi ha fatto male, ma che lo ha fatto come un genitore fa con un figlio: per aiutarmi, forse.

Cosa c'è di autobiografico nelle sue opere?
Emiliano Cribari: Tutto, veramente tutto. Non riesco infatti a concepire una qualsiasi opera d'arte come qualcosa che non sia un violento e tragicomico affronto a se stesso e alla propria psiche, ai propri desideri, alle proprie carenze, a tutti quei narrabili accadimenti che segnano l'esistenza di una persona e che, riportati in forma narrativa, possano servire, appunto , al pubblico. Se quindi prendiamo in esame la mia produzione come autore e regista rispondo che tutto, nel bene e nel male, è assolutamente autobiografico. Naturalmente esiste poi un mio percorso esclusivamente come regista ("Brokers Eroi per Gioco", etc...), dove invece quest'indole e questa attitudine non sono praticamente presenti.

La sua ultima opera è "Prima o poi Vedrai". Ci può parlare di questo film?
Emiliano Cribari: "Prima o poi Vedrai" è un cortometraggio indipendente che ha per tema principale il gioco d'azzardo, e in particolare l'universo delle scommesse calcistiche. Interpretato da Francesco Ciampi, il film è stato girato addirittura portando all'estremo il metodo "Le cose che so di me" e ha caratteristiche curiose: girato infatti con la Canon EOS 5D Mark II, si appoggia tutto su una voce fuori campo, la mia, che con la sua oggettiva antipatia, la sua poca grazia ma anche la sua efficacia danza sulle note di un tessuto musicale originale lungo quasi quanto tutta la durata del film. Non esistono o quasi ambienti sonori, in questo film; Francesco Ciampi è praticamente solo in presenza dei suoi pensieri e delle sue ossessioni. "Prima o poi Vedrai" è il tipo di film che piace a me: secco, conciso, cinico, tenero, in certi momenti poetico; sperimentale ma non troppo, cioè comunque un film per tutti, tanto che sarà distribuito all'interno di un ampio circuito ARCI. Un film che focalizza la sua attenzione su una tematica cocente e quanto mai attuale, vissuta dall'ennesima solitudine parlante che si affida inesorabilmente alla fortuna rimanendone schiacciata.

Come è stato lavorare con Barbara Enrichi, che l'ha aiutata nella co-regia e con Francesco Ciampi per la realizzazione di questo film?
Emiliano Cribari: In questi casi si dice sempre bene, tutto bene, tutto meraviglioso: che ci si creda o no, sia nel dirlo che nel leggerlo. Io in questo caso lo dico perché è vero e perché ci credo, e vorrei che anche chi legge ci credesse. Francesco Ciampi e Barbara Enrichi sono due professionisti che artisticamente si raccontano da soli, non fosse altro che per la storia che entrambi hanno alle spalle. Non è su quell'aspetto che voglio esprimermi: sarei banale. Il fatto è che entrambi hanno un'illuminata passione negli occhi. Giocano sempre con il cuore in mano e mettono il cuore in cima a ogni cosa. Voglio dire: due artisti di fama nazionale che si buttano a capofitto in un progetto così piccolo dando anima e corpo come se si trattasse di un film milionario... Parlo veramente di due persone di una correttezza, una precisione, un'umiltà e di un appetito culturale indescrivibili. A loro devo tantissimo e spero insieme loro di fare ancora molta strada.

Come considera l'attuale panorama cinematografico italiano?
Emiliano Cribari: Vivo, creativo, bello. Animato da artisti straordinari. Come da nostra tradizione, del resto. Con nuove leve di grandi qualità e idee forti e originali alla base. Il problema è la classe imprenditoriale. Il problema è la classe politica. Il problema sono i soldi: troppo pochi e troppo mal gestiti. Il problema, naturalmente, è la stupidità, volgare e gretta, di gran parte di coloro i quali siedono dietro a troppe scrivanie: gente che non ha e non dà fiducia, che non sa riconoscere talenti perché non ha talento e non sa cos'è il talento. Il problema sta quasi tutto, secondo me, nel vecchio concetto di contadino arricchito: e Roma è una campagna smisurata, in questo senso. Ricca di personaggi che con il loro modo di operare non fanno altro che continuare a fornire dell'Italia la classica e stanca immagine di un Paese cinematograficamente molle, sciocco e sempre uguale a se stesso. Ma non è così. Il problema è che senza trasparenza, senza cultura, senza competenza gestionale purtroppo a farne le spese è sempre il prodotto finito.

06/08/2010, 18:33

Simone Pinchiorri