Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Alessandro Angelini: "Ogni sceneggiatore vorrebbe che il suo
prodotto finale fosse il più vicino possibile alla realtà"


Alessandro Angelini, regista di "Alza la Testa" con Sergio Castellitto, Anita Kravos, Gabriele Campanelli e Giorgio Colangeli; un film dalla struttura anarchica, che passa dalla commedia al romanzo di formazione, dal dramma al surreale.


Alessandro Angelini:
Alessandro Angelini sul set del film "Alza la Testa"
Partiamo dalla premiazione della quarta edizione del “Festival Internazionale del Film di Roma”. Sergio Castellitto ha trionfato come miglior attore per il suo “Alza la testa”, ambito premio che per la sua opera d’esordio “L’Aria Salata” era stato assegnato a Giorgio Colangeli. Quando ha scritto il personaggio di Mero, aveva già in mente Castellitto o è stata un’idea successiva?
Alessandro Angelini: Già dal trattamento avevo pensato a Sergio, attore straordinario che ha nelle sue corde tutte le sfaccettature dell’animo umano, capace in una sola sequenza di creare dei veri rovesciamenti di umore. Non tutti riescono ad essere simpatici, farti commuovere, essere leggeri. La vera fortuna è che dopo aver letto il trattamento, ha accettato di interpretare il ruolo di Mero e a quel punto la stesura della sceneggiatura è stata anche più semplice.

Le problematiche del rapporto padre-figlio, in una ambiente distante dal mondo femminile, era già presente nella tua opera prima. Come mai hai scelto di approfondire altri aspetti e punti di vista di questo tema?
Alessandro Angelini: “L’Aria Salata” raccontava lo sguardo di un figlio nei confronti del padre. “Alza la Testa” nasce come un film sul rapporto paterno, ma in realtà risulta la storia della solitudine di un uomo che dopo aver perso tutto, prova a rimettersi in piedi. Qui lo sguardo si inverte e il punto di vista diventa quello di un padre che guarda un figlio. Il mondo femminile rimane a margine della storia, ma in qualche modo è presente in Mero, uomo che confonde il ruolo di padre e di allenatore e che spesso deve svolgere le mansioni materne. Deve preparare da mangiare e stendere il bucato, cose che nel suo mondo virile, composto dagli uomini soli del cantiere nautico, non potrebbe mai tirar fuori. Non è un caso che il gesto che compie al termine del film, che lo riavvicina alla vita e in qualche modo alla sua ex moglie, anch’essa donna straniera, sia un gesto molto femminile.

Uno dei pregi del film è il modo di narrare le varie stagioni del tempo che Mero si trova ad affrontare da solo, in seguito alla perdita del figlio e lo spettatore vede lentamente mutare il protagonista. Che tipo di lavoro è stato fatto per raggiungere questo risultato?
Alessandro Angelini: Ogni sceneggiatore vorrebbe che il suo prodotto finale fosse il più vicino possibile alla realtà. Questo film ha una struttura un po anarchica, che passa dalla commedia al romanzo di formazione, dal dramma al surreale. Quello che unisce tutto questo è la vita stessa del personaggio e il filo narrativo non si può ottenere unendo i puntini che portano da 1 a 2 e così via, ma raccontare gli stati d’animo di Mero. Le scene che precedono la partenza sono cinque o sei, ognuna con uno stato d’animo simile alla precedente, ma non uguale. Questo ovviamente si va a sommare alle stagioni del tempo e così vediamo crescere la barba a Mero o gli vediamo tirar fuori la sciarpa.

Mero accetta Sonia solo quando torna ad essere allenatore per un momento, nella sequenza della piscina. Lo sport come rinascita è una chiave di lettura troppo eccessiva?
Alessandro Angelini: Essere allenatore per Mero vuol dire cercare riscatto, anche se la vita non gliene ha dato la possibilità. Quando accompagna Sonia in piscina, lì è il momento in cui riesce ad entrarci in sintonia, vestendo i panni dell’allenatore e ritrovando la sicurezza che nella vita manca. Lo sport ti permette di far tirar fuori l’inquietudine dai personaggi, come già accadeva ne “L’Aria Salata”, ma nella scena della piscina si sommano altri elementi come l’acqua e il colore giallo, simboli della vita.

Il film si apre con una scena quasi goliardica, di vecchi amici che si prendono in giro. Termina con una risata in un momento in cui forse tutto si dovrebbe fare, tranne che ridere. Aspetti che ricordano molto la tradizione della commedia all’italiana. Sei d’accordo?
Alessandro Angelini: Nel film la parte della commedia è quella che mi sono divertito di più ad affrontare e forse è debitrice al modo di raccontare l’amicizia tipico di autori come Monicelli. La risata finale è liberatoria perché sa di aver fatto un gesto da matto, è il bambino che sa di averla fatta grossa. Così facendo però ha risolto una situazione così difficile e ci riesce perché rimane un puro, uno che sbaglia ma che ci prova fino alla fine. E’ il sorriso di chi sa di averla combinata grossa, ma finalmente gli è andata bene.

Castellitto ha salutato il pubblico romano per andare sul set de “La Bellezza del Somaro”. Da Angelici cosa dobbiamo aspettarci?
Alessandro Angelini: “L’Aria Salata” mi ha portato a questo film, e “Alza la Testa” mi porterà ad un altro. Per un regista le pellicole sono come i pioli di una scala, ne fai uno, poi un altro magari non sai dove stai andando. Poi ti volti e capisci dove sei arrivato. Forse arriverò ad un film molto diverso, rispetto a quest’ultimo che già era rischioso sotto molti aspetti. Ma forse uno degli aspetti più belli di questo mestiere è quello di non sapere con precisione dove andrai a finire.

03/11/2009, 09:00

Antonio Capellupo