Fondazione Fare Cinema
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Vittorio Moroni: "i decisori della cinematografia praticano
l’eugenetica e determinano la selezione della specie"


Vittorio Moroni ci racconta il suo ultimo lavoro "Eva e Adamo", un documentario che scava dentro 3 storie d'amore per capire "di cosa parliamo quando parliamo d'amore", ed esprime il suo punto di vista sull'attuale sistema cinematografico italiano.


Vittorio Moroni:
Innanzitutto ti faccio i complimenti per questo tuo lavoro, che dopo "Le Ferie di Licu" riesce ancora una volta ad esprimere con straordinaria efficacia la psicologia dei suoi personaggi. Come nasce l'idea di questo documentario?
Vittorio Moroni: Nasce dagli incontri fatti col pubblico che ha visto "Le ferie di Licu". Quel film raccontava due ragazzi bangladesi che si sposano senza essersi scelti. Il pubblico italiano a volte si scandalizzava, comunque li viveva come personaggi esotici, paragonandoli a noi italiani/occidentali che avremmo emancipato l'amore da ogni condizionamento e possiamo sceglierci e amarci liberamente. Allora mi è venuta voglia di scavare dentro alcune coppie italiane per cercare di capire meglio di cosa parliamo quando parliamo d'amore.

In questo documentario, ci presenti 3 storie d'amore molto diverse l'una dall'altra, dove il filo conduttore è la forza e la determinazione della donna, che è sempre anti-conformista e capace di scelte coraggiose. Come hai selezionato le 3 storie?
Vittorio Moroni: Abbiamo incontrato e scelto molte più storie, ma queste sono le 3 che sembravano adatte a fare un discorso comune, a guardare alle stesse domande da angolazioni molto diverse. Quando si gira un documentario bisogna poi fare i conti con la realtà e la sua imprevedibilità. A volte le persone scelte si ritraggono, a volte non si concedono davvero profondamente, a volte muoiono. Tutte queste cose che ci sono accadute costituiscono parte della risposta a questa domanda.

Cosa prediligi nella rappresentazione dei tuoi personaggi? Di cosa eri alla ricerca durante le riprese?
Vittorio Moroni: In ogni caso ho bisogno che il rapporto che si viene a determinare non sia voyeuristico o pornografico, dunque ho bisogno che vi sia una relazione forte con le persone che accettano di essere personaggi, che vi sia una loro volontà di raccontarsi, un bisogno di usare il film per confrontarsi con se stessi. Non mi interessa rubare, spiare, costringere a dire. A quel punto, stabilito il rapporto, mi piace che sullo schermo possano abitare contemporaneamente il racconto che il personaggio fa di sè, il mio sguardo (le mie emozioni, le mie complicità, le mie distanze) e dei varchi attraverso i quali lo spettatore possa scegliere quale postazione assumere verso le scelte dei personaggi e anche verso le scelte del narratore.

Quali sono state le prime reazioni del pubblico di "Eva e Adamo"?
Vittorio Moroni: Tutte le sere, al cinema dove proiettano il film, percepisco qualcosa di un po’ magico: arrivano persone sconosciute (chiamate credo da persone che hanno amato il film) ed entrano in sala sospettose. Qualcuno resta in bilico, esita fino all’ ultimo, pensa: -cos’è? Un documentario? Sarà una palla! Autoprodotto, sarà una schifezza!
Allora gli regalo una mela (io cerco di essere al cinema tutte le sere), gli prometto che all’ uscita gli rimborserò ill biglietto se non gli è piaciuto il film. Alla fine cede, credo per compassione.
All’ uscita lo aspetto con in mano un fotogramma del film da donare e nell’ altra i soldi del biglietto da rimborsare. E succedono cose strane: non c’è nessuno che esca prima della fine dell’ ultimo titolo di coda, e ogni sera parte un applauso che mi stupisce e mi restituisce le infinite ore di sonno perse in questi giorni.
Poi escono tutti, anche i sospettosi, e hanno il viso di chi ha fatto un viaggio, vissuto un’esperienza. Mi chiedono cose sui personaggi, sul mio rapporto con loro, vogliono farmi arrivare una specie di gratitudine. E io sono grato che si siano fidati e che ora abbiano gli occhi vivi e lucidi. C’è voluto tanto tempo per fare Eva e Adamo, tanta fatica per portarlo in sala, ma ogni notte, quando ritorno a casa verso le 2, mi sembra di averla dimenticata.

Il film è uscito per adesso solo a Roma e Milano. Si prevede l'uscita anche in altre città a breve?
Vittorio Moroni: Padova e Torino, poi Firenze, Genova, Bologna, e poi le Marche e poi un tour che speriamo di un km più lungo di quello di "Le ferie di Licu" (che nel 2007 fece fare al nostro camper 35.000km su e giù per la penisola).

Come si diceva, il tuo film parla di donne forti e determinate. Negli ultimi mesi il documentario "Il Corpo Delle Donne" ha aperto un interessante dibattito nazionale sul modello di "donna come decorazione" propagato dalla televisione italiana. Quale è il tuo punto di vista a riguardo?
Vittorio Moroni: Il corpo delle donne, il ruolo delle donne, la possibilità di scegliere delle donne, le opportunità delle donne sono uno dei territori decisivi per comprendere il livello di civilità di una cultura. Se questo è il termometro mi pare che non vi sia nessuna civiltà che abbia trovato un modello di convivenza accettabile. Censura dell' immagine del corpo femminile ed esibizione mercificata raggiungono lo stesso risultato: la mortificazione.

Come consideri l'attuale panorama cinematografico italiano? Quali sono i lavori italiani che hai più apprezzato ultimamente?
Vittorio Moroni: Credo si sottovaluti moltissimo –nelle analisi sulle linee di tendenza delle cinematografie- il peso dei decisori: la gente dei media, i direttori dei festival, i pre-selezionatori, i giurati delle commissioni ministeriali, dei Fondi UE… costoro sono “le ostetriche” del cinema, che praticano l’eugenetica e determinano la selezione della specie. Le ostetriche occupano a volte quei ruoli più in virtù delle proprie capacità relazionali, delle loro accortezze diplomatiche che del coraggio e della sottigliezza del loro gusto. Ho l’impressione che le ostetriche -che decidono il cinema che deve esistere (essere sviluppato, prodotto, finanziato, distribuito, selezionato, premiato, lodato…) siano perlopiù burocrati dell’ estetica e abbiano sguardi resi ottusi da quantità spaventose di progetti o opere (di cui leggono i riassunti o vedono i primi minuti in fast-forward) e abbiano il cervello mutilato da schemi ripetitivi e da un’idea superficiale del conflitto drammaturgico e da una concezione avvilente della funzionalità dei personaggi. Il sistema di selezione main stream è generalmente vittima di una anestetizzazione che non gli consente di cogliere lo splendore dei personaggi, la potenza delle atmosfere, la crudeltà delle conflittualità più sottili e penetranti che abitano le nostre comunità e il nostro tempo. Quando li colgono è per edulcorarli, per attutirli, per censurarli. Si fanno scudo con slogan tipo: “il pubblico vuole questo, il pubblico non capirà quest’ altro…”, ma ho sperimentato che esistono spettatori, moltitudini di spettatori che hanno una sensibilità, un’attenzione, una sottigliezza che è enormemente più sofisticata di quella delle ostetriche. Aldilà della mia esperienza personale, penso a "Il vento fa il suo giro", a "Cover boy", a "L'Orchestra di Piazza Vittorio", ai film di Alina Marazzi...

13/10/2009

Daniele Baroncelli