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Note di regia del mediometraggio "Fantasmi nel Sud"


Note di regia del mediometraggio
La mia costante e selettiva ricerca di storie che non fossero caratterizzate da scontate trame di tendenza mi ha sempre indotto a scrivere racconti, o a sceglierne di altri autori, che andassero oltre il significato della semplice rappresentazione oggettiva, questo, al preciso scopo di focalizzare si l’attenzione dello spettatore al tema centrale, ma indurlo anche a porre lo sguardo su altri argomenti paralleli e ben definiti. In poche parole parlare di una cosa raccontandone anche un’altra.
Non ho esitato nemmeno un attimo, dopo aver letto “Fantasmi nel Sud”del narratore calabrese Giuseppe Gironda, nel decidere di trasporlo in sceneggiatura per ricavarne un film.
Trovo che questo racconto rispecchi in pieno la caratteristica sopra descritta, nonchè un chiaro concetto dell’eterna, labile speranza di rivalsa dei luoghi e della gente del sud.
Un racconto semplice nella sostanza, ma denso di significati e soprattutto di spunti interessanti per descrivere argomenti ,come quello della televisione, che trovano spazio in dibattiti straordinariamente odierni.
Oggi come allora, infatti il piccolo schermo ha il grande potere di condurci in mondi a noi lontani, ma, se ieri faceva sognare l’indispensabile come un piccolo impiego e la speranza di una vita migliore per chi pativa le pene della fame, oggi ha il potere di porci di fronte a mille tentazioni, spesso del tutto inutili e a contribuire, in qualche modo, a voler fare di ognuno di noi una star, allontanandoci sempre più dalla semplicità e dai veri valori, oppure, più semplicemente a farci evadere, nel mostrarci paesaggi meravigliosi, dal ”logorio della vita moderna”.
E non è forse vero che frotte di Albanesi sono giunti da noi proprio attraverso lo stimolo dei nostri scintillanti programmi televisivi?
Ma il tema principale del racconto è l’emigrazione, il sogno di migliaia di giovani e meno giovani del sud d’Italia, che nell’immediato secondo dopoguerra, presero il viaggio della speranza verso le grandi e promettenti città del nord.
In primo piano un anziano padre contadino, così distante da alienanti catene di montaggio e fredde fabbriche del nord , così attaccato invece all’illusoria convinzione del rendimento della terra; ora che l’incubo della guerra è finito grandi speranze sono riposte proprio sulla terra, che invece, da lì a qualche anno, sarà inesorabilmente abbandonata e trasformata in un deserto incolto.
E se da una parte il figlio sogna di andarsene, affascinato dagli invitanti stimoli televisivi fatti di donne ben vestite e città operose , dall’altra, i genitori tremano a questa idea.
Basta il rumore del treno, che dalla stazione vicina arriva alle loro orecchie, per risvegliare l’angoscia perchè quel treno ha gia strappato loro i primi tre figli.
L’allegoria dell’assurdo rivela così la televisione agli occhi del padre come una bieca tentatrice, quasi una donnaccia rovinafamiglie, pronta a forviare senza speranza il buon senno del figlio amato.
La televisione è quindi una forte minaccia che,secondo lui, va risolta con una forte soluzione.
Nessuna anticipazione sul finale ma in conclusione, parlando di emigrazione, non possiamo, per altro, non cogliere l’odierno dramma dei migranti disperati che oggi chiamiamo extracomunitari .
Ed ecco che, ancora una volta, il racconto trova lo stimolo per proporci un nuovo argomento di dibattito.

Marco Lanzafame