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Marcello Mazzarella: "Ho iniziato a fare
l'attore quando ho perso mio padre"


Abbiamo intervistato il "poliedrico" attore siciliano Marcello Mazzarella, interprete di ruoli indimenticabili come quelli di Placido Rizzotto nel film di Pasuale Scimeca e di Marcel Proust ne "Il Tempo Ritrovato" di Raoul Ruiz.


Marcello Mazzarella:
Come è iniziata la sua carriera di attore?
Marcello Mazzarella: Quando ho perso mio padre. Lui era un attore amatoriale e mi portava sempre con se da piccolo durante le prove di commedie che metteva in scena con un gruppo di Erice (TP). Da allora mi è rimasto nell’inconscio un forte desiderio di emulazione. Osservavo quest’uomo che ripeteva la parte nel silenzio del salotto di casa, immerso nel intimo universo di quelle parole che ascoltavo emergere a tratti. Mi sembrava una cosa bellissima quella concentrazione. Era come certi momenti che io vivevo quando facevo l’apnea in mare. Un estremo contatto con se stesso, con l’intimo mondo dell’ascolto profondo, dove il tuo essere sembra far parte di un’armonia che trascende. Poi, alla morte prematura di mio padre ho avuto una spinta inconsapevole verso il mondo del teatro. Mi sono messo a leggere i testi teatrali di Pirandello che facevano parte della collezione di mio padre. Incominciavo con la fantasia a vedermi su un palco e a interpretare i personaggi più svariati del commediografo nostrano. Poi un giorno fondai una compagnia teatrale ed ebbi il coraggio di coinvolgere altri attori e di mettere in scena "La Patente" di Pirandello. E da lì è partito tutto… Corsi privati, prime esperienze professionali, conoscenze…e il cinema. Io sono un autodidatta e sono molto contento di questo privilegio. Una volta il piccolo teatro di Milano mi rifiutò ad un provino di selezione per i famosi corsi di Streler. Io piansi a lungo. Non capivo allora che quello era il mio buon destino che operava. Mi sono alzato le maniche e con tenacia ho continuato a seguire la voce nel cuore. La scuola, io allora l’ho rifiutata e l’ho fatta guardando buoni film e grandi attori e cercando di carpire i segreti della nostra arte in questo modo. Non voglio dire che le scuole di teatro non siano importanti o non necessarie, ma che l’arte dell’attore si basa su un principio. La reviviscenza e il senso del vero, e la strada, per un attore di cinema è la migliore scuola per raggiungere questi strumenti. Alcune accademie sono antiche. Ma va bene anche questo. La mia esperienza insegna che se ci credi, un rifiuto, una porta in faccia possono sempre essere l’inizio di una carriera. Per me è stato così. Il rifiuto del piccolo Teatro di Milano mi ha fortificato la volontà. Grazie di avermi eliminato.

Nel 1990 ha lavorato con Giuseppe Tornatore in "Stanno Tutti Bene". Cosa ricorda in particolare di quella esperienza?
Marcello Mazzarella: Fumo e mascherine contro l’inquinamento. Fu il mio primo set. Facevo la comparsa. Tornatore lo vedevo piccolo piccolo… e da lontano. Fu eccitante trovarsi a contatto di tante persone e di tanta fervente attività. Fu il contatto con un mondo adrenalinico dove tutti cercano di fare e dare il meglio di se. Un veleno che non mi ha più abbandonato. Una droga. Per uno smarrito e solitario come me, scoprivo il senso di appartenenza ad una famiglia di nomadi, di pazzi, di sognatori, di artisti, di grandi avventurieri.

Ci può paralre del suo ruolo in "Le Temps Retrouvé, d'Après l'Oeuvre de Marcel Proust" ("Il Tempo Ritrovato") di Raoul Ruiz, dove ha interpretato Marcel Proust?
Marcello Mazzarella: E’ stato il ruolo che mi ha portato alla ribalta dopo una lunga gavetta. Non mi aspettavo tutto ciò e soprattutto non mi aspettavo di finire a Cannes con affianco la Deveuve, la Beart, Malkovic e fra tutti quegli importanti attori francesi. Quando Ruiz mi ha scelto per quel ruolo, io ho fatto un grande lavoro di immedesimazione e di studio. Non solo con il personaggio ma anche con gli oggetti di quell’epoca. Era importante capire come scrivere il ruolo sul mio corpo anche a partire dagli oggetti che mi circondavano e che condizionavano la mia esistenza d’attore e di personaggio. Frequentavo molto il Louvre e guardavo molti quadri. Cercavo di assumere una postura e di carpire il segreto dell’eleganza della belle epoque. Ho letto la colomba pugnalata di Piero Citati e molte biografie di Marcel Proust. Poi, in realtà, ho saputo che dopo avermi fatto fare una prova con Emanuelle Beart, Ruiz, vedendo la mia preparazione, decise di cambiare i piani di ripresa del film e di relegarmi all’altezza dei primi piani. Da lì nasce un vero protagonista e il successo del mio lavoro. Nella prima versione io dovevo incarnare lo spirito, un’ombra di Proust. Una presenza riflessa nello specchio. E invece mi è finita meglio.

Come ha preparato il ruolo di "Placido Rizzotto" nel film di Scimeca?
Marcello Mazzarella: Guardando una pietra e girandoci intorno. Sguinzagliando l’istinto e la lingua. Ho lavorato sulla mia voglia di riscatto e sul senso della giustizia…anche quella divina. Davvero cercavo di diventare della natura della pietra. Duro, tenace, forte, impiegabile, trasparente, giusto, eroe. Grazie Placido.

Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores, Marco S. Puccioni, Pasquale Scimeca, sono alcuni dei registi italiani con cui ha lavorato nella tua carriera. Quale è il ricordo più bello che si porta dentro di loro?
Marcello Mazzarella: Tornatore da piccolo piccolo è diventato grosso grosso. Infatti dopo tanto tempo ho avuto il grande privilegio di lavorare in "Baaria". Incredibile, dicevo dentro me mentre Giuseppe mi parlava e dirigeva. Davvero la vita è come diceva mio papà: "Solo le montagne non si incontrano… Gli Uomini prima o poi si rincontrano".
Gabriele Salvatores l’ho conosciuto in "Nirvana", dove ho fatto un piccolo ruolo. Mi ha molto incoraggiato a continuare. Capita a tutti di avere un momento di sconforto quando fai l’attore e io in quel momento ho incontrato Salvatores. Lui mi ha incoraggiato. Ogni tanto ci vediamo e lui mi fa un sorriso, ci scambiamo due chiacchere davanti un caffè…peccato che non abbia più avuto l’occasione di lavorare con lui. E’ una persona gentile e un bravo regista.
Con Marco Puccioni siamo rimasti molto amici e ci frequentiamo spesso. Mi porto dentro la familiarità e l’amicizia di una persona intelligente con cui scambiare opinioni, conversare e valutare il nostro percorso.
Pasquale Scimeca è stato il regista che più di tutti mi è rimasto fedele offrendomi ben quattro ruoli nei suoi film. Devo essergli grato per questo. Mi piacerebbe dargli di nuovo un grande film da protagonista. Tanti sono i ricordi belli vissuti con Pasquale. Mi manca tanto il suo sorriso quando affaccia la sua testa bianca oltre le tempestose nuvole della sua rabbia contro i potenti, e si lascia andare a raccontare storie incredibili davanti ad un bicchiere di vino in una tavola fatta da amici.

Ci può parlare del film "Il Pugile e La Ballerina" di Francesco Suriano?
Marcello Mazzarella: Il più bel cazzotto che abbia mai visto! E' quello che dò ad un ladruncolo che riesco a beccare. Infatti nel film di Suriano faccio un polizziotto cacciato dalla polizia, ma che continua a esercitare sotto false vesti. Un gran paraculo, e a parte gli scherzi, davvero in una scena da stand-man devo dire che ho dato il meglio. Il film è uno sguardo su un microcosmo dove tutti si conoscono o si sono conosciuti, uno sguardo tra vicini di quartiere, che vivono un luogo. Roma. Suriano racconta una realtà alla deriva che si arrangia, si arrabatta nel lavoro, nell'amore, dove prevale alla fine il senso della amicizia come valore assoluto e durevole. Il mio personaggio Osho è uno patito dei Ching, che non fa nulla se non li consulta, ma che li usa anche per manipolare la vita degli altri. Faccio coppia con Peppino Mazzotta, conosciuto per aver lavorato nel "Commissario Montalbano", il quale è un attore fantastico con una rara espressività e un volto interessantissimo. Una prima opera che vale la pena di vedere.

Cosa porta della sua terra natia, la Sicilia, nell'interpretazione dei suoi personaggi?
Marcello Mazzarella: Il carattere fumantino e imprevedibile. Credo che sia un buon mix per lo spettatore. Non credo di essere molto prevedibile. Così chi mi guarda non si annoia. Anzi si eccita. porto anche, con molta fatica, il senso del Tragico e la seriètà dei Siciliani. Vorrei tanto, infatti, diventare ancora più serio fino al punto di esser capace di prendermi in giro. La mia evoluzione in tale senso, mi piacerebbe che si impregnasse nel comico o meglio ancora nel tragicomico. Vorrei tanto diventare come Peter Sellers. Vorrei diventare "Mister Chance". Peccato che non mi diano sceneggiature dove io possa interpretare il comico vero. Quello da situazione.

Una delle sue caratteristiche è quella di essere un attore "poliedrico", che si adatta a tantissimi ruoli. Come hai sviluppato questa tua peculiarità?
Marcello Mazzarella: Incoscienza. Mancanza di asse. Rifiuto di me stesso e di auto-ammirazione. Bisogno di nascondermi e di camuffarmi. Insomma necessità di essere altro da me. Il "me", mi annoia.

Oltre al cinema ha interpretato anche film per la TV. Che differenza ha trovato nell'interpretare due generi simili e allo stesso momento lontani tra loro?
Marcello Mazzarella: Allora… Una differenza c’è ed è illimitata, enorme. Non è vero, come dicono certi attori ,che lavorare in televisione è come lavorare in cinema. La televisione mette l’attore in un quadro predefinito dalla cultura industriale. Quindi prima il quadro e poi l’azione. Il cinema, quello vero, ha tempi diversi. Il regista prima lavora con gli attori, lo spazio, gli oggetti…e fa una mise-in–scene teatrale. Poi decide cosa fare con il direttore della fotografia per le luci e il punto macchina. Il cinema è più vicino alla vita, la ricrea. La televisione non può fare lo stesso lavoro. Ci vuole molto tempo e lì tutto dipende dal minutaggio e dagli ascolti. Se lavori troppo in questo modo ti disabitui ad essere un attore creativo. Bisogna frequentare tutti e tre i medium "Teatro, Televisione e Cinema" con intelligenza per salvarsi e tenersi in allenamento.
In Italia ho conosciuto solo un regista Italiano capace di saper ricreare la vita artisticamente: Giuseppe Tornatore. Il resto ha sempre avuto un elemento mancante. Troppo attento alla camera, al movimento di macchina. Chi era incapace di parlare con gli attori, chi era incapace di creare un senso del vero, chi veniva ad esprimere le sue frustrazioni, chi aveva voglia di comandare ed usare il bastone…
Quanta pazienza e generosità dobbiamo avere noi attori, voi non ve lo potete immaginare. Noi attori ne abbiamo fatti nascere tanti di registi.

Ci parlare della sua attività nell'ambito dei cortometraggi e in particolare del suo ultimo lavoro "Mare Nostro"?
Marcello Mazzarella: Questo progetto nasce dal mio desiderio di raccontare il mare come un luogo dove la spiritualità dell’essere umano trova la sua condizione naturale per esprimere al massimo sentimenti che riguardano l’aiuto reciproco, la solidarietà. Nel mio lavoro e nella mia natura di siciliano, spesso mi sono trovato a confronto con il nomadismo, l’emigrazione, lo sradicamento. Insomma con la perdità o meglio, con il sentimento del perdersi in un elemento, un contesto. Ora fin quando il perdersi avviene nell’elemento terra, l’uomo non riesce completamente a far cadere le ideologie, i preconcetti, le certezze che lo tengono saldo al suolo, alle sue costrizioni mentali per vincere la paura della morte. Il perdersi in acqua invece ci mette di fronte al significato profondo della nostra vita. L’incontro con un clandestino, un extracomunitario anche lui naufrago, e quindi il giudizio della condizione di quest’altro essere umano, non può avvenire dunque che su basi più spirituali, più umane. In fondo per essere più umani dovremmo riflettere un po’ di più sulla nostra condizione ultima di Naufraghi. I marinai hanno infatti un’altra mentalità o comunque una disposizione particolare per ciò che concerne l’aiuto reciproco. Da questa riflessione nasce la storia autobiografica di "Mare Nostro". Due esseri gemelli nel ventre della madre terra. Tutto ciò osservato con uno sguardo puro, senza giudizio, da una cernia. Un animale che per me è simbolo dell’innocenza, dell’infanzia. "Mare Nostro" sfiora appena la grande tragedia dell’emigrazione che si sta consumando nel nostro mare.


Come considera il panorama cinematografico italiano del momento?
Marcello Mazzarella: Manca il mercato e quindi i produttori. Nessuno mette soldi propri per fare un’ opera. Il guadagno sta nel risparmio perché tutti i produttori sono degli esecutivi, cioè fanno i film con i soldi dello stato o dei contribuenti. Ma c’è un’enorme passione e tanta voglia e tanti bravi attori. Peccato che lavorano sempre i soliti, anche fuori parte. La torta è piccola e gli invitati sono tanti. Inoltre le sceneggiature sono insipide e non passano i confini. Troppa gente seria…troppi funzionari che controllano l’arte. Pochi pazzi. L’arte è cosa da pazzi lo volete capire si o no! Lasciateci giocare se volete vedere uno sprazzo di verità nelle bugie che vi raccontiamo. Vorrei aggiungere che come succede in ogni epoca travagliata per vari motivi, più si tocca il fondo e più escono fuori coloro che hanno aspettato nel fondo, che ora possono vedere la luce. Coloro che sono semplicemente geniali. Matteo Garrone, Paolo Sorrentino, Alessandro Angelini, Anna Negri e tanti altri che conosco e che aspettano di uscire alla grande, come il mio amico Andrea Traina.

22/09/2008, 08:00

Simone Pinchiorri