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Intervista al regista Pietro Reggiani
sul film "L'Estate di Mio Fratello"


Venerdì 11 maggio, il nostro Simone Pinchiorri ha incontrato il regista Pietro Reggiani alla prima di Firenze del suo L'Estate di mio fratello, film distribuito tramite il virtuoso canale delle prevendite. Ne è venuta fuori una lunga ed interessante chiaccherata, di cui riportiamo una succosa sintesi.


Intervista al regista Pietro Reggiani sul film
Il regista Pietro Reggiani sul set del film
PARTE I (sulla cinematografia)

Come è riuscito a dare visibilità al film "L'Estate di Mio Fratello", che è passato in diversi festival americani ed europei?
Pietro Reggiani: Il circuito dei festival internazionali si è mosso abbastanza liberamente. Noi abbiamo mandato una cassetta al Tribeca con i sottotitoli. Eravamo già stati rifiutati da una serie di festival tra cui Locarno, Venezia e Berlino. A Berlino avevamo inviato una copia con un montaggio prematuro del film che non era del tutto funzionante. Anche il festival di Torino non ha preso il film. A questa manifestazione eravamo arrivati in semifinale, poi hanno deciso di non prendere nessuna pellicola italiana nel 2004. Per questo eravamo un po' scoraggiati e non sapevamo se spendere o no i soldi per i sottotitoli. Poi al Tribeca hanno visionato il DVD, senza che questo avesse fatto la "trafila" classica, cioè sia passato da "AIP filmitalia", che fa la preselezione per i festival. Il film è piaciuto al direttore del Tribeca Peter Scarlett, che ha preso il film. Andare al Tribeca significa avere un minimo di riscontro negli Stati Uniti. Così una serie di case di distribuzione hanno deciso di vederlo, ma non abbiamo avuto proposte interessanti tranne una che ci chiedeva i diritti anche per l'Italia ma non abbiamo accettato perché ci chiedevano di dargli l'incasso italiano per pagare la loro distribuzione internazionale. Ogni tanto ci scrivono ancora dall'America perché vogliono vedere "L'Estate di Mio Fratello". Dopo il Tribeca abbiamo fatto una decina di festival americani.

E' più facile avere visibilità in un festival americano che in uno europeo?
Pietro Reggiani: In America c'è un legame enorme dei festival con le pellicole hollywoodiane, però il cinema indipendente è molto considerato. E' piaciuta agli statunitensi l'immagine dell'Italia anni '70. In Europa siamo andati in un po' meno festival, però anche qui siamo andati bene. In Nord America e Scandinavia abbiamo avuto cinque-sei selezioni. Il film ha girato anche vari festival in Italia ed è andato bene. Non è stato preso dai festival maggiori, ma da Bergamo, Sulmona, Roseto degli Abruzzi, Chieti. In Italia i grandi festival sono un po' "condizionati" per potervi partecipare. A Venezia non eravamo abbastanza "forti" per poter passare.

Il film ha avuto un buon riscontro dal pubblico nei festival in cui ha partecipato?
Pietro Reggiani: Sì. Poi il film è particolare. La percentuale di "non contenti" c'è sempre, però in linea di massima la gente è rimasta molto soddisfatta. Il film ha preso anche un premio del pubblico in una località dello Utah...

Come è nata l'idea della "SelfCinema"?
Pietro Reggiani: E’ nata dopo i circuiti dei festival e dopo che i distributori italiani non avevano preso il film. Questi ultimi attuano una politica molto particolare. A volte distribuiscono film che hanno meno chance ma però con i fondi ministeriali. "L'Estate di Mio Fratello" non ha ricevuto fondi da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. I soldi li abbiamo messi tutti io ed il coproduttore Antonio Ciano. Il film è stato realizzato con un budget di 220.000 euro. Dopo essere passato al Tribeca ed a Bergamo abbiamo fatto una proiezione per tutti e 25 i distributori italiani, ma non è venuto nessuno a visionare il film tanto che quelli della sala di proiezione si sono impietositi ed hanno annullato la proiezione e non ci hanno fatto pagare! Questa era la situazione. Per un film italiano d'autore, anche se non era nel mio intento fare una cosa del genere, che non è un blockbuster è difficile trovare una distribuzione, specie se non si è ricevuto un fondo ministeriale. Poi alla fine insistendo siamo riusciti a farlo vedere ad alcune distribuzioni. Ironia della sorte il film è uscito al Politecnico Fandango di Roma della Fandango, che non ha mai voluto vedere il film.

La "SelfCinema" continuerà a sostenere l'uscita di altri film tramite la prevendita dopo "L'Estate di Mio Fratello"?
Pietro Reggiani: Il nostro intento è di strutturare una rete di distribuzione. Cercheremo di sviluppare nuovi contatti e coinvolgere la gente. L'idea è quella di avere tre-quattro titoli da sottoporre ad una comunità di spettatori per poi decidere quale distribuire per primo. Al pubblico sarà dato un questionario da compilare a fine proiezione. Importante è anche la "promozione" del film tramite estratti di brani da inserire sul sito della "SelfCinema". Il connubio anteprima-brani su internet sarà fondamentale, come lo è stato per "L'Estate di Mio Fratello". In certe occasioni, infatti, abbiamo promosso il film tramite brani, altre volte con vere e proprie anteprime ed altre volte ancora mostrando il mio cortometraggio "Asino Chi Legge". Alla gente chiederemo non solo quale film distribuire, ma anche quale è per loro il migliore metodo di promozione. Stiamo valutando anche di poter distribuire qualche film straniero, sottotitolato e non doppiato perché non abbiamo i soldi.

In quante copie è stato stampato "L'Estate di Mio Fratello"? E quanto sono costate complessivamente?
Pietro Reggiani: In cinque copie per un costo quasi di 3.500 euro, essendo un film breve.

Cosa ne pensa della distribuzione "satellitare" delle pellicole in sala lanciata da "Microcinema"?
Pietro Reggiani: Non è niente male come idea. Abbiamo pensato di dare anche "L'Estate di Mio Fratello" a Microcinema, dopo questa uscita in pellicola a maggio, per poter andare anche in sale minori. Non abbiamo ancora stipulato un accordo vero e proprio ma ci siamo vicini. Proprio ieri ho incontrato alcuni ideatori del progetto. Sicuramente questo mezzo di diffusione del cinema rappresenta il futuro. La qualità sarà poi molto alta.

Cosa ne pensa della co-production dei film sul modello fondato dai "co-producer" di Eros Puglielli?
Pietro Reggiani: Non è male come idea. Eros c'è riuscito perché ha un buon potere contrattuale con i tecnici. Riuscendo ad avere macchine, apparecchiature e pellicole si abbassano i costi. Anche girando tra amici si può attuare il progetto ed avere una co-production. Il problema è quando partecipano alla produzione anche chi fornisce i mezzi tecnici per fare un film, perché di solito queste persone vogliono essere pagate sull'unghia. Comunque oggi i costi stanno diminuendo. Adesso le macchine per il montaggio iniziano a costare pochissimo. Basta avere un portatile ed un programma si può fare, non occorre più affittare una sala di montaggio. La tecnologia sta abbassando molto i costi.

Come considera il panorama cinematografico italiano attuale?
Pietro Reggiani: Non è malvagio. La sensazione è che si è aperto un mercato nuovo per le commedia come "Notte Prima degli Esami" e "Mio Fratello è Figlio Unico". Questi film che portano tanti incassi possono aprire gli spazi per produzioni un po' diverse. Poi mi sembra che più di rado si vedono film terrificanti, che ti fanno chiedere come è possibile che siano stati girati. Mi sembra che ci sia più rispetto per lo spettatore. Forse perché la generazione del registi trentacinque-quarantenni ha tutto un altro modo di girare e non fa più i film "masturbatori" di un tempo. Vi sono pochi prodotti che possono essere sfruttati a lungo e poi piccole cose indipendenti che possono essere più o meno sovvenzionati dallo stato.

C'è posto, quindi, secondo lei per il cinema di qualità in Italia?
Pietro Reggiani: Ancora non tantissimo, ma se si continua a vedere che i film italiani portano gente in sala, questo può provocare un effetto positivo. Molti spettatori hanno troppi pregiudizi verso le pellicole nostrane, anche perché negli ultimi anni abbiamo prodotto cose veramente brutte. Le ultime cose prodotte possono far cambiare questa mentalità nella gente e così i distributori investiranno di più sui film italiani. La strada, però, è ancora lunga...



PARTE II (sulla trama del film)


Il film è ambientato a Verona, dove è nato. Cosa ha cercato di mettere in evidenza del suo territorio?
Pietro Reggiani: Volevo qualcosa di molto locale, realistico, immediato, qualcosa di molto sospeso tra realtà ed immaginazione. Ho cercato una realtà fatta di decadenza, di volti, di espressività molto locale. Pur localizzando la vicenda a Verona non ho cercato di dare riferimenti molto esatti, ho più cercato di caratterizzare delle tipologie di personaggi. Ho pescato dalla mia memoria, che poi poteva essere la memoria di chiunque. La veronesità emerge in modo involontario. E' un film veronese e non veronese al tempo stesso. E' venuto fuori un film particolare che non parla necessariamente di Verona. In questa città il film uscirà il 19 maggio e starà in sala per cinque giorni.

Come è stato scelto il cast, visto che sono tutti attori della zona di Verona?
Pietro Reggiani: I bambini sono veronesi come gli adulti. Sono tutti attori teatrali di Verona e Padova. Sono tutti attori. Non ho lavorati con non professionisti, tranne in alcuni momenti. Ho notato che far recitare i bambini mi viene più immediato, mentre far recitare non professionisti non è semplice. Il bambino è più immediato, riesce meglio ha ricreare le emozioni. Per i non professionisti fare questa cosa è più difficile, così mentre giravo il film gli ho detto di impersonare loro stessi. Sul set c'erano un sacco di famiglie. Venivano i bambini con i loro genitori, quindi c'era una sorta di "nursery" nel giardino della casa dove ho ambientato il film. Sul set c'era una vita familiare che scorreva dietro le mie spalle. Oltretutto era molto familiare tutto il film, essendo la produzione formata quasi interamente da miei amici.

L'ambientazione anni' 70 del film è perfetta e molto curata. Come è riuscito a ricrearla?
Pietro Reggiani: E' stato divertente. Abbiamo saccheggiato le camere di quando eravamo bambini di tutti noi. La costumista Taviani è stata bravissima. Ha trovato nell'armadio dei genitori gli abiti suoi e di suo fratello di quando erano piccoli. Ha fatto un lavoro incredibile e siamo rimasti tutti sorpresi sul set, perché era riuscita a dare dei tocchi semplici ma appropriati. Per ricreare la scenografia il lavoro è stato un po' più arduo, perché tutto si è deteriorato. Per quanto riguarda i "modi" gli adulti si ricordavano bene come erano quegli anni. I bambini non hanno avuto troppa difficoltà. In qualche modo c'era solo da esasperare e rendere più secchi i toni, in quanto i sentimenti sono sempre gli stessi.

Come hai diretto sul set i bambini del film?
Pietro Reggiani: Certe volte per loro era più particolare esprimersi con precisione, che nella vita di tutti i giorni non fanno tanto. Negli anni '70 si richiedeva di essere più precisi che ora e di avere un lessico più dialettale. Non ho percepito che si sentissero in un'altra dimensione in quanto a giochi e rapporti tra di loro. Sul set tra loro si sono create simpatie più o meno accentuate come è normale tra i bambini. Quando sono state girate le scene con le amiche vicine di casa dove c'era una ragazza più grandicella, Davide ha cominciato a dirne malissimo e lei rispondeva dicendogli che faceva così perché gli piaceva...

Quindi Davide è più espansivo come bambino del protagonista Sergio?
Pietro Reggiani: Sergio è introverso ma inibito. Davide è introverso, ma ha anche il fuoco dentro. Davide è più focoso ed ha portato la sua rabbia sordida nel personaggio. Nella sceneggiatura iniziale il suo personaggio era un po' diverso, ma poi durante le riprese non ho cambiato i suoi modi di fare, perché mi sembrava assurdo modificare ciò che è realmente. Portava dentro di sé, però, un disagio e l'ha saputo esprimere molto bene...

La creazione da parte di Sergio di questo fratellino immaginario è alla fine il volersi creare un compagno di giochi che realmente non ha per la sua troppa introversione?
Pietro Reggiani: Si possono dare tante letture di cosa possa significare questo fratellino. E' un compagno di giochi, ma anche un rifugio, un rimpianto, una condanna, una prigione. E' tante cose. Il finale è comunque aperto. E' vero che lui vuole restare con questo fratello immaginario, ma è vero anche che non lo può fare, è anche vero che quest'autobus comunque lo porta dagli amici e quindi la vita prosegue, le sfide continuano ed anche un bambino così introverso non può restare solo con le sue fantasie. Dunque la dimensione reale c'è e lo stimola.

Il film descrive anche una "gelosia" tipica dei bambini quando gli viene annunciata la nascita di un fratellino...
Pietro Reggiani: Davide non è piccolo. E' già grandicello per poter descrivere questa cosa in fantasie e desideri. Però devo dire che Davide aveva anche un lato aggressivo e quando c'è la scena dove lancia il fratellino sulla graticola era molto soddisfatto. Tommaso, invece, si impressionava ad essere buttato sulla graticola.

Sergio è anche uno specchio del suo ambiente familiare?
Pietro Reggiani: Sicuramente...

Cosa scatta in Sergio tra il non volere e poi volere questo fratellino?
Pietro Reggiani: Finché Sergio riesce a gestire la sua fantasia va bene, poi quando si riflette in qualcosa di reale è un altro paio di maniche. Sergio crea qualcosa che è un po' un cortocircuito, che alla fine del film deve capire come arrestarlo. Deve cercare di trovare un nuovo compromesso tra immaginazione e realtà.

La natura è la vera amica di Sergio, perché alla fine è la sua unica vera compagna di giochi?
Pietro Reggiani: Sì, volevo tanta natura per creare ancora meglio questa dimensione. Sergio si rapporta meglio con una natura che non è particolarmente "richiedente" per lui, visto che fa fatica a trovare rapporti con le persone. Con la natura fa meno fatica a crearsi un rapporto giocoso e dinamico, meno contorto. Tutta questa natura trasporta una dimensione astratta dove la sua immaginazione si può sospendere perché non c'è nessuno a controllarlo, cosicché è padrone di quei territori.

Cosa c'è di tuo nell'infanzia di Sergio?
Pietro Reggiani: In realtà Sergio è stato un po' più forte di me. Io ero più timido ed introverso. Sergio ha la capacità di elaborare ciò che gli sta succedendo. Io sono stato figlio unico, quindi questo c'era, anche se non mi è successo il dramma che è avvenuto nel film. L'idea di un fratello era per me sempre aleggiante e la confusione tra realtà ed immaginazione era presente. Però ho avuto meno comportamenti aperti e diretti rispetto al mio personaggio e quindi filmare me sarebbe stato un po' noioso: immobile nei comportamenti e perso nei miei pensieri. Sergio, invece, agisce, fa, mette in pratica.

Sergio è molto più maturo di molti bambini della sua età?
Pietro Reggiani: Forse sì. Percepisce cosa avviene in famiglia, ma in ultima analisi si nasconde nelle fantasie. Tante fantasie sono solo automatismi di varie situazioni e non so come Sergio riesca a controllare tutto questo...

Come hai preparato la sceneggiatura?
Pietro Reggiani: E' stato strano. Avevo questa storia in mente, ma volevo anche non creare qualcosa di troppo consapevole. Volevo raccontare la cosa vista da un adulto, poi vedendo il bambino in scena già da se trasmetteva una sua non consapevolezza. E' rimasto un po' un dramma capire come chiudere questa infanzia aperta, così ho posto un finale dall'ampia interpretazione...

Secondo lei, negli anni '70 c'era un rapporto più freddo tra genitori e figli e quindi era più difficile comunicare qualcosa?
Pietro Reggiani: C'era molta più separazione. I bambini erano bambini e gli adulti erano adulti. Era molto più difficile a quei tempi che l'adulto si occupasse di cose dei bambini e viceversa.

L'unico momento di affetto della madre verso Sergio è la carezza che gli da dopo essere uscita dall'ospedale, dopo l'aborto. Come ha descritto questa famiglia degli anni '70?
Pietro Reggiani: La famiglia di Sergio non è sicuramente una famiglia modello. Vi è una freddezza nei rapporti ed una difficoltà nello starsi vicino palese. Ogni componente è perso nelle sue difficoltà e problemi. Anche tra i genitori rimane tutto non detto. Vi è un rapporto che si va raffreddando tra marito e moglie. Una famiglia così fredda non può che portare il bambino a disagi ed alla introversione, perché non essendoci spazio per le emozioni fuori non ci può essere uno spazio dentro da gestire. Le fantasie del bambino sfociano sempre in situazioni tragiche per questo, come nella scena del gioco dello sbarco sulla luna dove vi è un alieno.

Come ha creato, appunto, le scene di gioco dei bambini?
Pietro Reggiani: Ho ripreso spunto dalle sensazioni di allora ed ho immaginato come un bambino potesse svilupparle.

15/05/2007

Simone Pinchiorri