BERLINALE 2007: report 13 febbraio


BERLINALE 2007: report 13 febbraio
Una scena del film "Riparo"
Nel bel mezzo della Berlinale, arriva pure l’influenza e mi imprigiona a letto. Adesso per fortuna la febbre è passata e magari è anche arrivato il momento di scrivere il report sulla giornata di martedì 13 febbraio.

Arrivo al CinemaxX, sala numero 9, per assistere all’attesa proiezione alla stampa de “La Masseria delle Allodole” dei fratelli Taviani. I portoni sono già chiusi. Gli uscieri dicono che i posti a sedere sono tutti presi e che non c’è alcuna possibilità di entrare. Insieme a me un gruppo di giornalisti tedeschi si infuria dicendo che quel film loro devono vederlo per forza per scriverci il pezzo. Una giornalista tedesca entra in crisi di panico. Gli uscieri allora contattano il loro manager e noi tutti entriamo. Alla fine una ventina di posti liberi c’erano ancora.

Entro in sala ed il film è iniziato da appena 5 minuti, quindi poco male. Da subito, l’impressione è quella di stare vedendo una fiction per la TV italiana, con tanto di prezzemolo Alessandro Preziosi, in questo caso nella parte di un soldato turco innamorato di una ragazza armena (interpretata dalla spagnola Paz Vega). Le idilliache atmosfere da fiction si interrompono bruscamente quando vengono mostrate le scene cruente in cui l’esercito turco stermina un gruppo di uomini armeni facendo irruzione nella cosiddetta masseria delle allodole, dove diverse famiglie armene erano corse al riparo per sfuggire alla persecuzione turca. Teste mozzate, genitali falciati, arti mutilati. Madri a cui viene chiesto di uccidere con le proprie mani i loro neonati maschi. Una serie di barbarie non proprio da prima serata raiuno.

Il film vuole trattare il tema del genoicidio turco nei confronti del popolo armeno nel 1915, all’indomani dello scoppio della prima guerra mondiale. Gli armeni sono considerati alleati naturali dei russi, nonché razza impura ed indegna (sebbene ricca e colta) di vivere insieme ad i turchi. L’esercito turco decide quindi di uccidere tutti i maschi armeni (compresi i bambini ed i neonati, per “evitare il rischio di una vendetta futura”) e di deportare le donne in una interminabile marcia verso Aleppo, durante la quale subiranno fame, percosse, stupri, e molte di esse pure moriranno.

Nel complesso, un film crudo, ben girato, ma che non convince appieno. La scelta di girare la pellicola in italiano a mio parere è poco felice. Un film dove ci sono turchi ed armeni che parlano in italiano (e sono sottotitolati in inglese) non riesce a sprigionare tutta l’autenticità di cui c’è bisogno in un contesto simile. Il film sembra la cover di qualcos’altro, fatica ad esprimere una propria personalità, sebbene la tematica sia originalissima e mai affrontata prima d’ora in un film. Le soluzioni sceniche sono a mio parere troppo standard per esprimere appieno il contesto turco-armeno. Non si respira niente di turco o di armeno. I personaggi appaiono troppo poco contestualizzati nel loro spazio e nel loro tempo. Ho trovato quindi la maggior parte degli elogi della stampa spesi per questo film solo un rito, una reazione politicamente corretta nei confronti di un film che ha avuto il coraggio di affrontare per primo una tematica spinosa inesplorata dal cinema.

Il secondo film della giornata che vedo è un'altra pellicola italiana, “Riparo” di Marco Simon Puccioni, all’interno della sezione Panorama. Il film (una coproduzione italo-francese) viene presentato qua alla Berlinale, senza ancora avere una distribuzione italiana. Ambientato a Udine, tratta la storia di una coppia omosessuale di donne (Anna e Mara) al ritorno da una vacanza in nordafrica che si ritrova nel bagagliaio un ragazzo marocchino (Anis). Il regista nei giorni precedenti denunciava come fosse stato difficile trovare protagoniste italiane donne per recitare la parte omosessuale, tant’è che alla fine si è dovuto scegliere due straniere: Maria de Medeiros (nota attrice portoghese, scelta dalla produzione francese) e Antonia Liskova (attrice slovacca, da 10 anni in Italia e protagonista di diverse fiction). Anis, il ragazzo marocchino, invece è stato interpretato da un vero marocchino la cui storia personale è molto simile a quella del film. Il regista alla fine del film svela anche che il ragazzo (il cui vero nome è Mounir Ouadi) doveva essere anche lui a Berlino per la presentazione del film ma da due settimane non ha più dato notizie, replicando quindi nella vita la sfuggevolezza che ha nel film.

L’idea del film è quella di tessere nella storia tre diverse personalità di differenti classi sociali: Anna, figlia di proprietari di una azienda di scarpe dove anche lei lavora come dirigente; Mara, operaia della azienda e convivente di Anna; Anis, immigrato clandestino. Allo stesso tempo, si vuole affrontare il tema della omosessualità e metterlo in relazione con il punto di vista di un ragazzo nordafricano, tipicamente poco familiare con situazioni del genere. Un’altra tematica è quella del benessere, che permette ad Anna di essere generosa nei confronti degli altri, ma anche di controllarli gelosamente e di sbarazzarsene quando sente di non poter più controllarli. Un altro tema è quello della non rassegnazione da parte della mamma di Anna di avere una figlia omosessuale. Poi ancora, il legame di affetto e di complicità tra Anna e suo fratello (interpretato da un inimitabile Vitaliano Trevisan), nonostante le tante differente di fondo.

Nel complesso, un film con una ottima sceneggiatura, che riesce nell’arco di un film ad affrontare tante tematiche interessanti. A suo modo, un piccolo gioiello. Rimangono però aspetti non totalmente convincenti nel film. La regia e la fotografia non mi sembrano all’altezza della storia. Le immagini non riescono a dare quel valore aggiunto, che avrebbe potuto fare del film un capolavoro nostrano. Si ha l’idea di un film poco rifinito, senza quei tocchi di classe alla Garrone o alla Sorrentino. Una pellicola molto lineare, dove quello che conta è soprattutto la storia.

Alla fine del film una quarantina di persone restano fuori della sala. Tra queste il regista Puccioni, e buona parte del cast del film, insieme ad amici e conoscenti. Tra gli attori mancano il ragazzo marocchino (per i motivi che spiegavo prima) e il grande Vitaliano Trevisan. Presenti invece le due attrici protagoniste. Tramite alcuni dei presenti vengo a conoscenza di un aftermovie party in un bar della zona chiamato Home Base. Non avendo l’invito, decido di chiederlo direttamente al regista, che mi dice che non ci sono problemi e che posso chiederlo al produttore. Approfitto quindi anche per complimentarmi per il film, in maniera però non troppo convincente. Gli dico: “Complimenti per il film. La storia è molto bella, ma non so, ci sono degli aspetti su cui devo ancora riflettere”. Puccioni mi risponde un po’ risentito: “ma... ma la sceneggiatura non l’ho scritta io”. Mi accorgo di aver fatto una piccola gaffe, però sento in fondo di essere stato onesto, quindi non mi pento. Purtroppo Puccioni non si mostra più tanto disponibile con me, e durante la festa non mi rivolge quasi più lo sguardo. Un atteggiamento che a dir la verità è più che comprensibile, essendo circondato in quella festa da amici e colleghi propensi ad osannarlo incondizionatamente, mentre io ero un imboscato che dopotutto aveva pure osato muovergli delle velate critiche. In un evento importante come quello, dove presenti il film per la prima volta (per di più ad un pubblico internazionale) e vuoi scaricare tutta la tensione accumulata in mesi di produzione del film, l’ultima cosa che vuoi sentire sono delle note di disappunto. Da segnalare poi come proprio durante quella festa, Puccioni e la produzione, abbiano siglato un accordo di distribuzione per il film negli Stati Uniti (quando ancora il film non ha una distribuzione in Italia!), cosa che rendeva tutti ancora più inclini all’autocelebrazione. Giustamente, aggiungo io.

Alla festa alla fine erano presenti una settantina di persone, la maggior parte dei quali della produzione del film. Ma anche amici e conoscenti, tra cui Jasmine Trinca, che quest’anno era la Shooting Star italiana alla Berlinale. Ho avuto modo di conoscere diverse persone, con cui mi sono scambiato i contatti. Tra questi Francesco Imposinato, l’aiuto regista del film, molto simpatico, con cui ho fatto una lunga chiacchierata sulla cinematografia italiana. Poi ho conosciuto un regista americano di colore (amico della protagonista del film Maria de Medeiros) che è venuto alla Berlinale per presentare la sua opera prima ai potenziali produttori. Ed ancora una ragazza tedesca, di Monaco, anche lei regista ed alle prese con la sua opera prima basata sul tema della “convivenza tra ragazzi che vivono nella stessa casa”, che conta di girare in parte anche in Italia.

Alla fine una serata molto interessante, e piena di spunti di riflessione. Una cosa che mi ha colpito e allo stesso tempo mi ha fatto molto piacere è stata vedere questi giovani registi entusiasti e motivati che cercano degli sbocchi per la loro espressione. A loro va tutta la mia stima.

Torno a casa che sono quasi le 6 di mattina. Mi sveglierò il giorno dopo con la febbre a 38, e solo il giorno dopo ancora scriverò questo resoconto. Adesso conto di tornare alla Berlinale sabato 17 febbraio, in occasione dell’assegnazione dei premi.

15/02/2007

Daniele Baroncelli