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Note di regia di "Horkos"


Note di regia di
Horkos (greco antico: ὅρκος “giuramento”) demone della maledizione del falso giuramento.
...questa è una storia che dobbiamo imparare.
La trasformazione industriale si è rivelata una bolla di promesse,
seguita dalla distruzione di stili di vita e paesaggi devastati. E parlarne ancora in questi termini non è sufficiente. Concludere la storia con questa decadenza generale significa abbandonare ogni speranza. Oppure, rimane la possibilità di rivolgersi ad altri luoghi pieni di promesse e rovine, promettere e rovinare..
.”
Anna L. Tsing Il fungo della fine del mondo

Un piccolo fiore, col nome di un demone, è cresciuto segretamente sotto la macchia, di fronte a lui si erge un enorme animale arrugginito e moribondo, che occupa prepotentemente il paesaggio. Questo è il contrasto visivo su cui si costruisce l'estetica del film. Un complesso industriale e un fiore. l'organico e l’inorganico, il perenne e l’effimero, il demone e la falsa promessa.
In questo dualismo vivono i personaggi del film.
Le loro parole e i loro silenzi sono disseminate lungo il film, ma nessuna di esse sovrasta il paesaggio sonoro, che oscilla tra un rumoroso silenzio pieno di vita e l'inquietante respirazione industriale che ricopre ogni cosa. La pellicola a colori, in parte sviluppata a mano, in parte in laboratorio, a creare un oggetto di critica estetica alla distruzione delle risorse ed alla reinvenzione del mito della rinascita.
15 anni fa il polo industriale di Portovesme, con le sue 700,000 tonnellate annue di alluminio, ferma la produzione, senza che a questo segua una bonifica della terra e dell’acqua contaminate.
Senza possibilità di ritorno all'economia agro-pastorale, gli abitanti fanno del loro meglio per mantenere un legame con il luogo in cui vivono.
In questo territorio devastato da una catastrofe che richiederà diversi secoli per ripristinare la terra e le acque, gli abitanti si sono risvegliati, dopo la chiusura delle industrie, in un mondo più povero di quello dei loro padri, ma sopratutto più povero di rapporti e di senso di appartenenza.
Tuttavia 15 anni di chiusura hanno cominciato a far riaffiorare quei tenui legami che esistono tra l’essere umano ed il territorio che abita. Legami che diventano delle prepotenti necessità in un mondo che non contiene più nessun altra promessa.

Marta Anatra