Sarà
Marco Bellocchio il protagonista della quattordicesima edizione dello
Sguardo dei Maestri, la rassegna organizzata dal
Centro Espressioni Cinematografiche di Udine, da
Cinemazero di Pordenone e da
La Cineteca del Friuli di Gemona in collaborazione con
La Cappella Underground di Trieste con il supporto di
Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia,
Fondazione Crup e con la collaborazione del
Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma/Cineteca Nazionale.
Al suo cinema inquieto, mai conciliante sulla realtà, raccontato attraverso i diversi generi e sempre nella direzione dell’utopia e della visione, sarà dedicata la retrospettiva "
L’inquietudine di un sogno". Curata dai ricercatori
Denis Brotto e
Farah Polato, si aprirà al
Visionario di Udine martedì 7 febbraio e proseguirà fino al 15 marzo a
Cinemazero di Pordenone e al
Teatro Miela di Trieste.
Dopo Bresson, Buñuel, Tati, Ophüls, Dreyer, Fellini, Bergman, Welles, Resnais, Mizoguchi, Losey, Godard e Bertolucci, sarà dunque
Marco Bellocchio, in questi mesi impegnato nella produzione de "
La bella addormentata" proprio in Friuli, a ricevere l’omaggio che si conviene ai grandi registi, a coloro che si sono imposti nel panorama cinematografico come maestri assoluti della Settima Arte.
L’inquietudine di un sogno proporrà nel corso di 7 serate 13 titoli (12 lungometraggi, di cui un documentario inedito, più un cortometraggio) attraverso i quali è possibile leggere alcune possibili direttrici, talvolta nel segno dell’evidenza, in altre occasioni attraverso accostamenti meno espliciti. Ad aprire, inevitabilmente sarà "
I pugni in tasca" (1965), primo folgorante film ma soprattutto opera dall’impatto inatteso e deflagrante che ha permesso a Bellocchio d’iscriversi a pieno titolo nella stagione del nuovo “giovane cinema italiano” degli anni Sessanta; al suo fianco "
Gli occhi, la bocca" (1982), emozionante e inconsueto ritorno sui medesimi passi del film d’esordio, a 17 anni di distanza.
A seguire, "
La balia" (1999), tratto dal racconto di Pirandello, ritratto di un triangolo familiare ed affettivo oltre che profonda incursione nel mondo della follia, e "
Il sogno della farfalla" (1994), al confine tra sogno e realtà, tra vita e “rappresentazione”, interessante esempio delle “discusse” opere scritte da Bellocchio assieme allo psicanalista Fagioli. L’accostamento de "
L’ora di religione" (2002) e de "
Nel nome del padre" (1971) rinnova lo sguardo sull’istituzione familiare, osservata, in questi casi, nel rapporto con un’altra istituzione cruciale nel cinema di Bellocchio, quella religiosa.
"
Enrico IV" (1984) e "
Vincere" (2009), apparentemente distanti fra loro, rivelano invece un risolutivo legame nel mostrare la dimensione di una “messa in scena” quale luogo dell’esercizio del potere e nel rappresentare la follia quale espressione di volontà in un caso, condizione imposta nell’altro. La scansione punteggiata da "
Buongiorno, notte" (2003), "
Discutiamo, discutiamo" (1969, episodio di "
Amore e rabbia") e il meno noto documentario, commissionato dall’UCI,
Il popolo calabrese ha rialzato la testa (1969) introduce all’inquieta e complessa riflessione politico-sociale che da sempre attraversa la produzione di Bellocchio e che trova nella “revisione” del caso Moro una delle manifestazioni più intense, potenti, controverse. Una luce introspettiva e autobiografica chiude infine la rassegna, con i film
Il gabbiano (1977) e
Sorelle Mai (2011), nei quali si impone il valore della dimensione artistica per Bellocchio e l’amore mai sopito per Cechov.
Bagliori di un cinema inquieto, a suggerire la forza penetrante dello sguardo di un maestro che ha saputo mutare, rinnovarsi, rischiare ad ogni nuova sfida, ad ogni nuova opera.
La manifestazione/tributo (sia a Udine che a Pordenone e Trieste) sarà accompagnata da un
catalogo curato da
Denis Brotto e
Farah Polato.