Fondazione Fare Cinema
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"This Must be the Place", parla David Byrne


Sulla realizzazione delle musiche del film
Stavo facendo un tour in Europa e Paolo è venuto ad incontrarmi a Torino. Il suo fantastico film Il Divo era uscito da poco nelle sale a New York ottenendo critiche molto positive, per cui ero davvero felice di conoscerlo. Lui e il suo produttore mi hanno detto che stavano lavorando ad un nuovo film e mi hanno accennato alla trama. Non mi hanno raccontato tutta la storia, mi hanno solo detto che sarebbe stata incentrata su una ex-rock star. Poi mi hanno spiegato che avrebbero voluto che scrivessi la musica per il film.
Sul momento ho pensato che il progetto fosse molto ambizioso e che il salto dalla realizzazione di un film italiano, splendido e particolare ma poco conosciuto all’estero, alla produzione di un film girato in inglese e con un grosso budget fosse un po’ rischioso. Così ho risposto che in quel momento ero in giro con il mio tour e che sarebbe stato meglio se mi avessero ricontattato dopo aver trovato i soldi e quando il progetto fosse stato già in piedi.
Incredibilmente un anno dopo erano pronti, avevano già una data per l’inizio delle riprese e volevano riparlare della musica. Ne sono rimasto piacevolmente sorpreso.
Così ho letto la sceneggiatura e mi sono reso conto che le cose che Paolo voleva da me erano tre. Innanzi tutto voleva che io e la mia band suonassimo dal vivo una canzone dei Talking Heads in una delle scene del film, e questo non comportava particolari problemi.
La seconda cosa riguardava il fatto che al protagonista, ad un certo punto della storia, viene dato un CD con le demo delle canzoni di un giovane cantautore. Paolo aveva bisogno di queste canzoni perché poi il personaggio di Sean Penn ascolta il CD, una canzone dopo l’altra, durante il viaggio che intraprende più avanti. La difficoltà qui nasceva dal fatto che io avrei anche potuto scrivere le canzoni, ma poi non le avrei potute cantare perché la gente avrebbe riconosciuto la mia voce, che certamente non è molto credibile come voce di un ragazzino.
La terza cosa era la colonna sonora. Paolo aveva con sé alcuni pezzi strumentali, pezzi classici contemporanei, che aveva in mente per la colonna sonora. Ma sulla colonna sonora mi sono un po’ tirato indietro perché mi sembrava che avrei avuto già abbastanza da fare con le demo delle canzoni del ragazzo, che non avrebbero dovuto essere troppo curate o pulite, ma suggerire invece qualcosa di incompiuto e di “grezzo”.
Nella sceneggiatura Paolo menziona Will Oldham, noto anche come Bonnie Prince Billy, indicandolo come una specie di pietra miliare, e in effetti il ragazzino della storia suona in un centro commerciale cantando una canzone di Will. Così ho suggerito a Paolo: “Perché non chiedi a Will Oldham delle canzoni, visto che lo senti come un riferimento?” Non ne era convinto, ma tempo prima avevo incontrato Will durante il mio tour, così ho proposto a Paolo di contattarlo io per vedere se fosse interessato a lavorare insieme alle canzoni del film. Paolo si è detto d’accordo e, sorprendentemente, Will mi ha detto che ci avrebbe provato.
Prima di spingerci troppo avanti nel lavoro, ho pensato che sarebbe stato meglio buttare giù un po’ di idee e spedire a Paolo degli esempi di musica e testi per capire se stavamo andando nella giusta direzione. Ho immaginato che fosse più facile così, perché far provare a qualcuno a descrivere la musica che ha in mente è una cosa davvero difficile.
Alcune delle proposte andavano bene, così Will ed io abbiamo continuato a lavorare su quelle; poi ne abbiamo inviate altre a Paolo, sempre solo abbozzate, e di nuovo lui ne ha scelte un paio,
mentre il resto è tornato nel mio cassetto. Così, un po’ alla volta, abbiamo completato tutto, ad eccezione di una canzone per la quale Will ha scritto tutto il testo. E’ molto interessante perché le parole sono assolutamente diverse da qualsiasi cosa avrei potuto mai scrivere io. E questo è il bello di lavorare insieme a qualcuno: riesci a produrre cose che da solo non faresti mai.
Poi, dato che il giovane attore dublinese che interpreta il ragazzo delle demo non è proprio quello che si dice un grande cantante, dovevamo trovare qualcun’altro che avesse una voce credibile per il personaggio. Attraverso MySpace abbiamo trovato qui a New York un ragazzo irlandese che quando parla ha una voce un po’ tenorile con un leggero accento irlandese. E’ arrivato, ha cantato tutte le canzoni e ha fatto un ottimo lavoro.
Il nome della band nel film, ‘Pieces of Shit’, fa pensare ad un gruppo punk, mentre la musica che avevamo prodotto andava in tutt’altra direzione.
Paolo ci aveva dato solo qualche indicazione, dicendoci che avremmo dovuto realizzare una canzone più malinconica e farne un’altra più ritmata e sostenuta. Ma il protagonista è ispirato a Robert Smith, il cantante dei Cure, e io ho detto a Paolo che, se voleva che la musica fosse simile a quella dei Cure, probabilmente non ero la persona più adatta per quel lavoro. Ma lui non si è detto d’accordo e mi ha spiegato quello che aveva in mente, e cioè che Cheyenne dovesse rimanere emotivamente colpito da una musica diversa da quella che suonava in passato, una musica che lo spingesse in un’altra direzione.

Sulla canzone ‘This Must Be the Place’
Il fatto che Paolo abbia usato una canzone dei Talking Heads scritta da me, ‘This Must Be the Place’, come titolo del film è stato un po’ uno choc. Nel film vi si fa riferimento un paio di volte, viene suonata una volta per intero e credo che si senta in un altro paio di momenti, e tutto questo è decisamente lusinghiero. Per me questo pezzo è decisamente una canzone d’amore. E’ forse la canzone più dichiaratamente d’amore che io abbia mai scritto. E’ sincera, senza usare luoghi comuni, e credo che la gente la trovi toccante perché è più vera di altre canzoni, magari più curate, ma che contengono maggiori cliché.

Interpretare David Byrne
Paolo mi ha chiesto di recitare me stesso in un paio di scene, cosa che ovviamente mi ha portato a chiedermi: come faccio? Ho detto a Paolo di non avere alcuna ambizione come attore, e lui mi ha risposto: ‘No, non voglio che tu sia te stesso, voglio che interpreti David Byrne’, cosa che mi è sembrata ancora più contorta! Ma poi ho pensato che ci sarebbe stato Sean Penn, completamente calato nel suo personaggio,e che se avessi semplicemente reagito a quello che lui mi diceva, così come avrei fatto nella vita reale, avrebbe potuto funzionare.
Insieme formiamo una coppia piuttosto buffa, Cheyenne ed io, anche se l’idea di un’amicizia tra due come noi non è affatto inverosimile.

Cheyenne e Sean Penn
Quando Paolo mi ha raccontato la storia e poi leggendo la sceneggiatura, mi sono reso conto che Sean Penn avrebbe avuto un look da dark alla Robert Smith per quasi tutto il film. E deve riuscire a rendere credibile il suo personaggio, facendoti dimenticare che stai guardando Sean Penn con uno strano makeup, facendoti andare oltre e facendoti cominciare a provare dei sentimenti per questa persona, al di là del suo rossetto, dei suoi capelli e di tutto il resto.
Nel film scopri un po’ alla volta perché il personaggio di Cheyenne fa quello che fa.
All’inizio ti vengono date solo delle piccole motivazioni, ma molte cose le scopri solo durante il film e solo allora ti rendi conto del perché stia recitando in quel modo o del perché abbia smesso di fare concerti. Piano piano metti insieme gli elementi che ti vengono rivelati quasi come delle digressioni, en passant, e questa cosa a me sembra molto intelligente, perché mi piace che sia il pubblico a dover ricomporre l’intero puzzle della storia.

11/10/2011, 14:30