Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Note di regia del film "L'Ultimo Crodino"


Note di regia del film
La bassa Val di Susa è sempre stato un luogo molto particolare e forse unico nel panorama delle piccoli valli italiane. La sua storia è molto semplice. Negli anni ’70 la valle è stata deturpata della sua bellezza e del suo fascino da una serie di piccoli e medi insediamenti industriali che lentamente hanno sradicato le origini contadine dei valligiani. Sono sbucate acciaierie, fabbriche e plastifici proprio dove pascolavano vacche e dove si coltivava la frutta. L’impatto ambientale è stato tremendo e come sempre accade in Italia è stato sopratutto sottovalutato.
Poi hanno deciso di spedire in valle, al confino, molti pericolosi mafiosi. Dimenticandoli. E in breve tempo la mafia si è impadronita di località turistiche come Bardonecchia facendo il bello e il cattivo tempo e murando personaggi scomodi nelle infinite speculazioni edilizie delle seconde case. Poi hanno costruito un grande autoporto per dare la mazzata finale all’ambiente. Centinaia di TIR transitano ogni giorno inondando la valle di scarichi e scorie. E a proposito di scorie si dice da sempre che sotto terra si nasconda un mare di amianto, fatto abusivamente sparire. Il tutto in una piccola e stretta valle con le montagne schiacciate sui paesini che la incorniciano. Una valle dai lunghi inverni che non passano mai e dai tanti piccoli bar sorti come funghi per offrire un antidoto alla noia di una provincia dimenticata.
La scintilla iniziale della nostra storia nasce proprio in un bar quando due onesti e anonimi lavoratori decidono di fare il salto e organizzare un rapimento per dare una svolta alla loro vita e per fuggire da quella valle. Due persone benvolute da tutto il paese e assolutamente insospettabili. Due persone che per anni hanno sognato la “bella vita” e che un giorno hanno deciso di provare a prenderla.
Ma siccome sono due onesti lavoratori non se la sentono di rapire una persona viva. La violenza non è nelle loro corde. Allora decidono di rapire un morto ma…”uno di quelli importanti”.
Questo è il primo aspetto che mi ha profondamente colpito e che mi ha convinto che questa è una storia che merita di essere raccontata. Da un piccolo bar di provincia, incastonato sotto le montagne, un operaio delle acciaierie e un autista di furgoni decidono di rubare la bara di Enrico Cuccia, uno degli uomini più importanti e potenti nella storia dell’alta finanza italiana. L’autista di furgoni si improvvisa “la mente” e l’operaio si trasforma nel “braccio”, in perfetta sintonia con gli schemi più classici di una certa commedia all’italiana. E come da copione ne combinano di tutti i colori perché i due amici per delinquere non ci sono proprio nati. La loro ingenuità e la loro goffaggine nel gestire questo folle rapimento è assolutamente unica e irresistibile tanto da sembrare, in certi momenti, una sceneggiatura già scritta, pronta per essere girata.
E, come non bastasse, il contesto in cui la vicenda si svolge è la bassa Val di Susa. Una valle che negli ultimi tempi è diventata un contenitore di grosse tensioni sociali. Il movimento NO TAV, che da anni si oppone in tutti i modi al progetto dell’alta velocità. Gruppi di anarchici insurrezionalisti che agiscono in valle. Sette misteriose di satanisti che continuano imperterriti le loro particolari pratiche notturne nei cimiteri. La famigerata diossina che secondo molte persone è presente in valle in dosi massicce.
Tutti elementi che hanno rischiato di depistare totalmente le indagini sul rapimento ma che ci permettono di scattare una sorta di precisa polaroid su questa piccola e inquieta valle. E sui bizzarri personaggi che da sempre la popolano.
Proprio come i nostri due protagonisti che si sono improvvisati rapitori per poi finire sbranati da tutti i mass media e subito etichettati come due poveri imbecilli. Ma dopo averli conosciuti e dopo aver chiacchierato un po’ con “la mente” posso dire che imbecilli non erano. Semmai due grandi ingenui, convinti che rapire la bara di un intoccabile della finanza fosse una semplice passeggiata. Raccontare la loro disarmante ingenuità, le loro mosse, le loro paure è senza dubbio “cinematograficamente” forte. Una storia così folle, così unica nel suo genere, da poter essere trasformata in un film ripercorrendo passo passo la realtà. E’ bastato attenersi ai fatti per costruire la sceneggiatura e non abbiamo mai dovuto forzare personaggi e situazioni, rischiando la caricatura o la macchietta. In molti mi hanno domandato se “è tutto vero” quello che i due combinano durante il furto. Ebbene si. Prima e dopo il furto ne hanno combinate di tutti i colori, dimostrando un’assoluta incapacità a delinquere. E questo, per chi racconta, è un aspetto decisamente forte. Ho cercato uno stile asciutto, senza fronzoli e nel rispetto assoluto del “fatto di cronaca”. La macchina da presa ha pedinato la storia in silenzio, senza avventurarsi in voli pindarici e facili ammiccamenti. E ho voluto a tutti i costi la coppia Tognazzi-Iacchetti. L’ho inventata e sono felicissimo del risultato perché tutti e due sembrano usciti da quella valle, da quella storia. Il loro dramma si riassume in una frase di Pes: chi nasce povero muove povero. Come a dire che non si possono sconfiggere l’ineluttabilità e la disperazione. Mi piace definire L’Ultimo Crodino un piccolo film che fa sorridere ma che ci fa anche riflettere su come talvolta la vita può essere amara, molto amara.

Umberto Spinazzola