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Intervista a Daniele Luchetti sul film "Mio Fratello è Figlio Unico"


Intervista a Daniele Luchetti sul film
Daniele Luchetti
Come e quando hai scelto di dedicarti a questo progetto?
Daniele Luchetti: All'inizio è stato complesso capire non tanto come fare il film, quanto individuare quali erano le ragioni profonde che mi avevano appassionato nella lettura del romanzo. La risposta a tale questione è nel film. L'aver individuato, in un romanzo lungo e complesso, una possibile linea che mettesse me in relazione profonda con la storia è stata la chiave di avvio del lavoro. Ho cominciato a convincermi che quel personaggio - raccontato da Pennacchi - non era solo un pezzo della sua biografia, ma di una biografia italiana più generale. Di un pezzo di Italia fatta di esclusi, di fratelli minori, di ragazzini di cui nessuno aveva il tempo di occuparsi. Di ragazzi intelligenti che hanno preso la cattiva strada, che hanno obbedito a parole d'ordine efficaci e superficiali solo perchè erano alla ricerca di una identità, di un amico che li ascoltasse, di qualcuno con cui condividere il proprio tempo. Questa chiave "umana" e non necessariamente politica mi ha aiutato a trovare una strada personale ed emotivamente "mia" nella costruzione di questa storia.
Mio fratello è figlio unico non è un film politico. E' un film di esseri umani che amano, soffrono, ridono e fanno anche politica. Il film non prende posizione politicamente: racconta di persone che prendono posizione. Questa credo sia stata la mia chiave. L'elemento umano, affettivo ed emotivo al centro di tutto.

Nella sceneggiatura sei tornato a collaborare con Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Come è cambiato, se cambiato, negli anni il vostro modo di lavorare, il linguaggio e le stesse tecniche di scrittura?
Daniele Luchetti: Con Sandro e Stefano il rapporto è sano e vitale. Ci si contraddice, si discute, ognuno difende le sue posizioni. Diciamo che a loro è assegnato il compito di tenere dritta la barra del timone mentre il mio è quello di supplicarli a divagare, di esplorare di qua e di là, di costringerli a mutare la rotta. La risultante di queste due rotte è il nostro percorso comune. Quando abbiamo cominciato a lavorare a questa storia ho comunicato loro che avevo intenzione di fare un film più reale ed autentico di altre volte. In questo sono stato capito, incoraggiato ed aiutato a comprendere quando nella scrittura mi stavo allontanando troppo da questa intenzione.

Qui siamo dalle parti della commedia che, secondo la migliore tradizione del cinema italiano, tiene d'occhio le evoluzioni civili e sociali del Paese. Ti sembra un genere di commedia destinato a rifiorire o ti appare invece marcato da episodi perlopiù occasionali?
Daniele Luchetti: Sinceramente non mi sono mai preoccupato di rientrare in un genere e se il film appartiene alla zona commedia lo è perchè evidentemente c'è nel mio modo di narrare un tendere spontaneo all'affettuoso ritratto dei personaggi. Non mi sento mai superiore ai miei personaggi, ma ne racconto le ingenuità con sincero rispetto. Altre volte ho fatto film con l'intenzione di essere divertente in maniera quasi sistematica (ad esempio ne La Scuola). Stavolta invece il sorriso nasce dall'affetto. Affetto di cui ho bisogno anche per creare empatia con i personaggi e per poterli seguire con interesse, pure quando nel film non si può più ridere, perchè la storia si fa più oscura ed emotivamente intensa.

Hai messo in primo piano una coppia di attori giovanissimi e già affermati (Germano e Scamarcio) accanto ad altri di grande esperienza (Zingaretti, Finocchiaro, Popolizio, Bonaiuto). Nell'insieme una compagine molto efficace. Che linee guida di recitazione hai indicato per i principali ruoli in sceneggiatura?
Daniele Luchetti: Come prima cosa, ho chiesto loro di rinunciare a tutti i "trucchi" del mestiere. In questo ho cercato di aiutarli innanzitutto segnalando loro una serie di abitudini recitative che conducono verso il "mestiere" e non verso l'autenticità. Chiarito questo, poi, girando ho cercato di azzerare tutte le classiche cause di attrito, distrazione e blocco che un set naturalmente crea agli attori. Ho eliminato qualsiasi indicazione di posizione e di sguardo. In complicità con l'operatore di macchina e con il direttore della fotografia, ho lasciato loro libertà assoluta di movimento sul set. Ho girato spesso senza provare, chiedendo alla macchina da presa di seguire quello che accadeva sul set come se fosse un evento reale, senza stabilire a priori quale sarebbe stata l'inquadratura. Per mantenere la freschezza che desideravo ho girato spesso con più macchine da presa, cercando di catturare allo stesso tempo campo e controcampo, totale e primo piano, come se stessi girando una cronaca "in diretta". Così gli attori si sono sentiti molto più liberi di dare un contributo, finalmente sciolti dagli obblighi "tecnici" del set. Per mantenere freschezza spesso tra un ciak e l'altro si cambiavano le battute o la dinamica intera della scena. Questo mi ha dato la freschezza che desideravo, e un materiale molto ricco per il montaggio. Insomma, gli attori erano liberi, sì, ma di fare quello che volevo io. Infatti, tutto questo si svolgeva all'interno di un disegno preordinato e discusso in profondità sui singoli personaggi.

Nel film varie canzoni dell'epoca, tra gli anni '60 e '70, scandiscono il procedere del tempo. C'è quella finale di Nada rivisitata in splendida versione acustica. Con quali criteri, oltre alle probabili tue passioni personali, hai scelto i brani musicali e i commenti sonori?
Ho scelto una strada semplice, che è stata quella di pensare esclusivamente all'efficacia delle scene. Quando mi serviva alludere ad una atmosfera di quegli anni l’ho fatto senza paura di usare canzonette. Quando mi serviva potenziare un’atmosfera emotivamente impegnativa non ho avuto paura di chiedere a Piersanti di spingere sul pedale dell'emozione. Ovviamente tutto ciò moderato dal mio gusto personale. Non amo l'eccesso e rispettare il mio gusto piuttosto che immaginare un ipotetico gusto di un ipotetico pubblico ha guidato le mie scelte non solo nella scelta musicale ma in tutto il lavoro di regia del film.

18/04/2007