Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Marcello Guidetti  (16/04/2007 @ 14:47)
Saverio Costanzo non teme gli argomenti difficili. Il suo ultimo film è quanto di meno compiacente al pubblico si potesse fare. Ci porta in un seminario, un ambiente di solito lontano dalla nostra quotidianità abituata a preti televisivi e ingerenze vaticane. Tutto diventa silente. Siamo su un’isola della laguna veneziana proprio di fronte a San Marco ma è come fossimo sulla luna, in un luogo bianco e asettico quasi a rispecchiare l’anima spogliata dei protagonisti. Ci sembra di respirare l’ascetismo e la mortificazione del corpo che vivono i personaggi del film: sono pallidi, vestiti di maglioncini dai colori tristi, mangiano ma non sembrano godere di nessun piacere. Questa loro rinuncia ad ogni tipo di piacere e di contatto col mondo spinge Andrea (il protagonista) a riflettere sulla sua vocazione e sulla reale capacità di vivere nel seminario. Sono le critiche dei compagni e la crisi di uno degli allievi a spingerlo al dubbio tra la vocazione e la vita mondana. Grande prova di tutti gli interpreti dal protagonista Christo Jivkov (coraggioso a recitare in italiano e in grado di rendere ancora più autentico il dubbio del suo personaggio) a Marco Baliani e a Filippo Timi.Indagare nell’anima senza scadere in facili psicologismi da fiction è un lavoro complesso: questo film percorre fino in fondo la sua ricerca, la sua analisi senza cadere mai nello scontato.La fotografia, la luce che aggiunge e sottrae, il lavoro claustrale, silenzioso e costante dei personaggi ci allontana dalle problematiche quotidiane riportando la fede ad essere un messaggio interiore, intimista, tra uomo e assoluto.
Battista Passiatore  (03/04/2007 @ 22:15)
Dopo uno strepitoso successo di critica e pubblico ottenuto con la sua opera prima "Private", il giovane cineasta Saverio Costanzo torna dietro la macchina da presa e con "In memoria di me" cavalca la sottile linea di confine tra laici e cattolici, tra spiritualità e materialità. Il regista costruisce il suo nuovo lavoro interamente all'interno di un seminario, raccontando di vocazioni, di turbamenti, del mondo rigido e severo dei gesuiti, che pur non vengono mai direttamente nominati. Ne esce fuori una pellicola sofferta, non definita né definitiva, alla quale, per stessa ammissione del regista, chiunque può attribuire il senso che gli è più consono, più corrispondente alle proprie corde. Costanzo si muove morbidamente tra i corridoi di S. Giorgio Maggiore a Venezia, seguendo le sorde e chiuse peregrinazioni di un giovane novizio dell'ordine da poco arrivato, muovendo con garbo e grazia la macchina da presa con lunghe carrellate o dolly accennati, giocando sui raccordi di montaggio, e su una fotografia che mettesse in risalto il chiaroscuro. Tecnicamente, dunque, un notevole passo avanti rispetto a "Private", per un film che spara molto in alto, pur non avendo la pretesa di avere la soluzione in tasca, ma che mette sul piatto temi scomodi e controversi. Costanzo si muove ambiziosamente tra Dreyer e Bresson, conservandone quel toccante, lucido sentimento di ambiguità, ma perdendo in rigore morale, non avendo la barra del timone dritta su una rotta. Per sua stessa ammissione tante direzioni, tante sfumature che prende il film sono emerse quasi inconsapevolmente in sede di lavorazione. In memoria di me rappresenta comunque un tentativo coraggioso di parlare di un argomento a prima vista così poco cinematografico, raccontandone con passione e senza cedere a tentativi di spettacolarizzazione un mondo troppo spesso in balia di stereotipi e di vulgate con poco fondamento, fallendo complessivamente l'obiettivo, ma segnando una strada che ci auguriamo venga sempre più spesso percorsa.
Daniele Baroncelli  (11/02/2007 @ 14:30)
Tratto dal mio report alla Berlinale dell'11 febbraio 2007: L’inizio è convincente e concentra subito l’audience. Parte con un dialogo tra il protagonista Andrea (interpretato dal bulgaro Cristo Jivkov) ed il padre superiore (interpretato dal tedesco Andrè Hennicke), che gli chiede le motivazioni della sua scelta di entrare in seminario. Andrea risponde che nella vita ha provato tutto, ma che ancora non ha trovato la libertà, che lui adesso cerca attraverso questo percorso. La storia comincia quindi a svilupparsi, e pian piano introduce gli altri personaggi che insieme ad Andrea vivono l’esperienza del seminario. Uno di questi, Panella (interpretato da Fausto Russo Alesi), abbandona presto il seminario, in quanto non riesce ad accettare l’idea di dover rinunciare alla propria personalità (come insegnato dai padri del seminario) per poter avvicinarsi a Dio. Dopo questo evento, un nuovo personaggio “ribelle” emerge tra i seminaristi: Zanna (interpretato da Filippo Timi). Andrea è affascinato da Zanna e dal suo senso di spiritualità. Zanna arriva ad essere molto critico nei confronti dell’Ordine e della Chiesa, dicendo che nel loro ambito non fanno altro che riprodurre i mali del mondo, usando la Parola di Dio per dominare ed influenzare gli uomini. Comincia quindi una specie di travaglio anche per Andrea, ormai sempre più immerso nei suoi dubbi di vocazione. Ma purtroppo il regista non è capace di esprimere in modo efficace questa fase. Decide di eliminare i dialoghi dal film per quasi mezz’ora e di focalizzarsi sulle immagini contornate da musica in contrappunto che vorrebbero descrivere quello che passa nell’animo del ragazzo. Non ci riesce. L’assenza di ritmo e la ridondanza delle immagini uccidono il film. Vedo la ragazza accanto a me sbadigliare e le dico: “quite slow, isn't it?”. Lei distende lo sbadiglio sorridendomi con un lungo “yessssssssss”. Io le confermo: “Yes, I also think this is too much”. Verso il finale, la storia comincia un po’ a riemergere, con Andrea e Zanna che decidono insieme di lasciare il seminario, ma a quel punto è ormai difficile coinvolgere nuovamente il pubblico. Per la cronaca, il film è stato interamente girato a Venezia, nel monastero dell’isola di San Giorgio Maggiore. Nel complesso, un film con una tematica molto suggestiva ed interessante (ispirato al libro “Il Gesuita perfetto”, scritto nel 1961 da Furio Monicelli). Alcuni dei dialoghi sono veramente interessanti e penetranti. Il regista ha il pregio di mantenere un sostanziale equilibrio tra i vari punti di vista, evitando facili ammiccamenti in una direzione o nell’altra. Riesce a descrivere abbastanza fedelmente sia la dottrina religiosa dei superiori che le perplessità umane dei seminaristi. Purtroppo non riesce a mantenere un coinvolgimento costante nel film, alternando momenti di forte presa a fasi prolisse ed evitabili. Rimane un buon film, ma decisamente non all’altezza di altri in competizione qui alla Berlinale.

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