Note di regia di "Matri pi Sempri"
La Buona Novella in siciliano ha gettato un ponte tra la Liguria e la Sicilia. Unendole non solo nell’arte, ma anche nei ricordi. Come un complesso tutt’uno storico culturale. Quel ponte, si chiama Fabrizio De André. Matri Pi Sempri è l’espressione cinematografica di un viaggio. Fatto casa per casa, tra gli sguardi delle donne che ho incontrato. Alla ricerca della Maria cantata dal Faber.
Ho seguito La Buona Novella come fosse una strada, all’inizio era un suono ma poi è diventato qualcos’altro: una voce, un richiamo che mi ha portato lontano e più andavo lontano più capivo che stavo tornando a casa.
Grazie alla Fondazione De André con Dori Ghezzi e Arnaldo Bolsi e soprattutto grazie a Edoardo De Angelis e Francesco Giunta ho incontrato cinque donne diverse, forti e antiche, ognuna di loro con un frammento di Maria nello sguardo, ed è lì che ho capito che Fabrizio non voleva cantare Dio ma loro e così infine mi sono ritrovato a seguire una voce di una madre perché se c’è davvero una buona novella non viene dal cielo ma viene da lei.
Il film è in bianco e nero per due ragioni. La prima è poetica: nel bianco e nero io vedo l’essenziale, la ruvida verità delle cose. È una lingua spogliata, che toglie il superfluo e lascia soltanto la sostanza. Come le persone che Fabrizio De André ha raccontato e cantato: fragili, imperfette, ma vere. La seconda ragione è personale, quasi clinica. Convivo con una discromia, una condizione genetica che mi impedisce di percepire le sfumature tra i colori primari. Per me il bianco e nero è una zona franca: uno spazio dove la mia visione e quella dello spettatore si incontrano sullo stesso piano. Un territorio neutro, condiviso, dove non serve vedere tutti i colori per capire quello che conta davvero.
Andrea Walts