ALICE NELLA CITTA' 23 - "Ciao Varsavia":
l’identità individuale di una giovane
"
Ciao Varsavia" è un ritratto femminile sui generis, che trasforma ed elabora l’identità individuale di una giovane che deve lottare con la vita professionale e il proprio corpo, usando uno sguardo nel contempo interno ed esterno, ma mai giudicante. Opera isterica sulla malattia eppure umanista, è una gran dimostrazione del talento di
Carlotta Gamba oltre che un inedito lavoro di mimesi camaleontica nell’estetica di un altro cinema: quello polacco.
La regista
Diletta Di Nicolantonio ha ambito con questo cortometraggio a ricreare la messinscena di un’altra epoca, di un altro posto. L’Italia si annulla e guarda la Polonia del cinema e delle fotografie di un tempo, dai colori marciti e dagli edifici deformati dal grandangolo - desolante paesaggio umanistico, gabbia brutalità a cielo aperto, e soprattutto rappresentazione solitaria dell’interiorità dei personaggi, anzi, della protagonista aliena al mondo che la circonda.
Il volto di
Carlotta Gamba, al contempo vittima innocente e maliziosa spina nel fianco (e usata da registi quali D’Innocenzo, Vicario e Delpero in ruoli ambivalenti), è sempre interessante per come riempie il fotogramma, e Ciao Varsavia è girato in pellicola, con una resa dell’immagine che valorizza il colore dei suoi occhi, la sua espressività, la sua presenza scenica. Da un ospedale alla strada, dall’abbandono della solitudine casalinga alla rabbia della fuga. Estenuante e allo stesso tempo sintetico, è un lavoro espressivo e sottile, più polacco che italiano, più interiore che realista, più interessato al racconto per immagini (di corpi, di sguardi) che al didascalismo del dialogo duro e puro. Il discorso sull’immagine denotato dalla politica e dal taglio dell’inquadratura si riflette anche nello script, nel momento in cui la protagonista Diana si reca a un provino per diventare modella e la sua stessa immagine diventa oggetto di scrutinio. Per liberarsi (o condannarsi), il personaggio di Gamba agisce col proprio arbitrio, tentando di oltrepassare lo sguardo altrui (e fallendo?), e il suo percorso di formazione piuttosto che una favola rassomiglia il ritratto. Finale amaro. La contestualizzazione della malattia è didattica, ma l’esperienza di visione è pura e immersiva grazie a una regia che rispetta gli spazi dello spettatore e del personaggio.
18/10/2025, 08:49
Nicola Settis