LA FOCE DEL FIUME - Un film che parla sottovoce
Nel suo film "
La Foce del Fiume", Andrea Miraglia costruisce un racconto di redenzione e fragilità, di seconde possibilità e di silenzi, ambientato in un luogo simbolico e reale allo stesso tempo: la foce del Tevere, punto di incontro tra acqua dolce e mare, tra passato e futuro, tra colpa e rinascita.
Protagonista della storia è Andrea (
Andrea Miraglia), un giovane che, dopo sette anni di carcere, torna in libertà portando sulle spalle il peso del proprio passato. Il fratello Roberto troppo preso dai suoi “impegni improrogabili”, non è presente ad accoglierlo: un’assenza che diventa subito segno e metafora di una società che spesso si volta dall’altra parte, ma che in questo caso, invece, nasconde un piano pregresso. Andrea viene accompagnato da un vecchio amico incaricato di prenderlo all’uscita del carcere e viene portato presso un cantiere nautico che si trova alla foce del Tevere. Nella proprietà vi è anche un maneggio ed un centro sportivo di proprietà di Claudio (
Claudio Corradini), un anziano dal passato doloroso, che lo ospita e gli offre lavoro. Andrea trova lentamente un fragile equilibrio fatto di lavoro, fiducia e piccoli gesti quotidiani. La narrazione si muove con passo sobrio e sincero, evitando facili sentimentalismi. Miraglia sceglie di raccontare il cambiamento attraverso sguardi, silenzi e relazioni minime, restituendo un’umanità autentica e imperfetta. La figura di Claudio, interpretata con grande intensità, diventa lo specchio attraverso cui Andrea impara a perdonare sé stesso e a riconoscere la possibilità di una nuova vita. Grazie all’incontro con Martina (
Martina Vetritto) si manifesterà anche la possibilità di una rinascita partendo dall’amore fisico per giungere ad un rapporto più profondo.
Il film tocca la sua vetta emotiva nel momento della morte di Claudio, quando una vecchia fotografia riporta alla luce una ferita mai rimarginata e, insieme, la possibilità di riscatto. L’immagine, semplice e potente, diventa il simbolo dell’intera opera: la memoria come luogo di dolore ma anche di salvezza. Con una regia essenziale e un linguaggio visivo pulito, Miraglia riesce a evocare una dimensione profondamente umana e morale, in cui la redenzione non è mai spettacolare ma quotidiana. Da sottolineare la cura dei particolari che passa anche attraverso la fotografia di Marko Carbone che sceglie una luce naturale, quasi timida, mai estetizzante, per restituire la fragilità e la verità dei personaggi. Le immagini si muovono all’interno delle diverse realtà: tra le ombre del tramonto e la brina sull’acqua del fiume, tra la luce all’interno delle mura di un carcere e quella del sole che filtra attraverso le foglie degli alberi. Particolarmente efficace è il contrasto visivo tra i toni freddi delle sequenze notturne e la luce calda, intima e familiare, che accompagna gli ultimi momenti di Claudio, l’anziano che diventa simbolo e specchio morale del giovane protagonista. Qui la fotografia abbandona ogni realismo per farsi metafora: la luce diventa memoria, la memoria si fa redenzione.
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La Foce del Fiume" è un film che parla sottovoce, ma lascia un’eco lunga proprio come il fiume che gli dà il titolo. La capacità del regista di gestire un intero cast di attori non professionisti, lascia trasparire un grande talento e un dono particolare nel trasmettere un messaggio di forza e di coraggio. Totalmente autoprodotto, il film è dedicato a coloro che abbiamo perso ma che rimarranno nei nostri cuori per sempre.
14/10/2025, 16:08
Silvia Amadio