Note di regia di "Wider than the Sky"
Abbiamo mappe della Terra dettagliate fino al centimetro. Mappe dell’universo risalenti a un miliardesimo di secondo dopo il Big Bang. Abbiamo mappe precise di tutto… tranne che dei nostri cervelli.
Ora, per la prima volta, ci stiamo avvicinando alla creazione di una mappa 3D di quello che viene definito l’oggetto più complesso dell’universo: il cervello umano. Per anni, un’ampia comunità internazionale di neuroscienziati, l’Human Brain Project, ha collaborato a questo compito gigantesco.
Ma tracciare territori sconosciuti è rischioso: le mappe possono servire anche a scatenare guerre di conquista, ad affermare proprietà e sfruttamenti. Lo sviluppo dell’IA deve molto a ciò che stiamo scoprendo sul cervello umano. E se invece trovassimo che questa tecnologia perfeziona strumenti di controllo politico e sociale, dando a pochi privilegiati una sorta di “sguardo divino” su tutto? E se aiutasse a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi? E se rendesse la guerra ancora più letale?
L'intelligenza artificiale è già utilizzata per creare un divario di potere senza precedenti nella storia. Il suo uso indiscriminato potrebbe generare un mondo disumanizzato di topi e uomini, dove chi si oppone al potere dominante è costretto a vivere sottoterra, privato di tutto per sfuggire al controllo.
Non si tratta di una profezia fantascientifica lontana: è la cronaca recente.
A Gaza, i sistemi di IA sono stati utilizzati per incrociare miliardi di dati, localizzare combattenti di Hamas e stimare il numero di civili “ammessi” come perdite collaterali, senza necessità di valutazioni umane caso per caso.
H.G. Wells scrisse che la nostra civiltà è impegnata in una corsa tra conoscenza e catastrofe. Una società a scatola nera, dove algoritmi oscuri governano le nostre vite, potrebbe far pendere l’ago della bilancia verso il disastro.
“Wider Than the Sky” mi ha reso consapevole della vera natura dell’intelligenza artificiale: presentarla solo come miracolo tecnologico fa parte della menzogna che ne legittima la privatizzazione.
La verità sta invece dove nessuno guarda, in una dimensione opposta: l’IA sarebbe nulla senza tutta la conoscenza che l’umanità ha creato nella sua storia. Per questo, essa appartiene all’intera umanità, per la sua origine profondamente spirituale.
Dovremmo smettere di definirla “artificiale” e forse chiamarla “intelligenza collettiva”.
Abbiamo già un grande modello da seguire: gli scienziati e gli artisti che collaborano in squadre internazionali, scambiando esperienze e conoscenze liberamente, senza altra affiliazione che quella della razza umana, senza altro scopo che il bene dell’umanità.
Questa è la base di una IA "affidabile" e probabilmente anche il miglior antidoto contro i rischi di una società a scatola nera.
Valerio Jalongo