Note di regia di "Testa o Croce?"
Il nostro film nasce da una passione profonda per le ballate popolari, le leggende tramandate oralmente e i racconti che da bambini ci venivano narrati come se fossero verità. Storie tramandate di bocca in bocca, come le leggende di frontiera, dove la verità è sempre incerta e si trasforma, diventando mito. Con Testa o Croce? abbiamo messo in scena una ballata western ambientata in Italia, un anti-western che parte da premesse classiche (il cowboy, il duello, la fuga) per poi trasformarsi gradualmente in qualcosa di più magico e surreale. L’intento era rompere le convenzioni del genere, reinterpretandolo in chiave italiana e contemporanea. Il Wild West Show di Buffalo Bill è stato il nostro punto di partenza, uno spettacolo itinerante che già all’epoca mescolava storia e finzione e costruiva miti attraverso la narrazione. Secondo i giornali dell’epoca i butteri locali sconfissero i cowboy americani in una gara di doma. Da lì, abbiamo immaginato un film che si costruisce come racconto epico e postmoderno, dove realtà e finzione si confondono, e dove la narrazione stessa diventa parte del film. Anche se Testa o Croce? è il nostro progetto film più ambizioso dal punto di vista produttivo, abbiamo cercato di mantenere lo spirito libero e artigianale che ha sempre caratterizzato il nostro modo di lavorare. Proveniamo dal cinema indipendente e il set, per noi, è un luogo aperto all’intuizione e alla collaborazione. Abbiamo lavorato molto anche con gli attori per cercare il tono giusto. Ci hanno dato tantissimo in termini di tempo, energia e idee, aiutandoci a ridefinire i loro personaggi e a scoprirne le voci. La scelta dei luoghi è stata fondamentale per costruire il mondo visivo e simbolico del film. Abbiamo girato tra il Lazio e la Maremma, tra paludi bonificate, montagne e mare. Volevamo evitare il western “polveroso” e ci siamo ritrovati con un western “fangoso”: durante le prime settimane di riprese, la pioggia e il fango erano ovunque. Ma anche questo ha contribuito a modellare il tono del film. Il film parte da un immaginario maschile e lo decostruisce progressivamente. Il personaggio maschile classico, il cowboy, l’eroe, viene messo in discussione e smontato pezzo dopo pezzo, fino a un ribaltamento totale. L’arco narrativo del personaggio di Rosa è il nucleo del racconto. La decisione di suddividere il film in capitoli nasce dalla fascinazione con la struttura dei Dime novels, romanzi popolari d’avventura e western che spesso riscrivevano la realtà con intenti spettacolari. Nel film, Buffalo Bill è il narratore, un narratore inaffidabile, che scrive la propria versione dei fatti. I capitoli sono quelli del suo diario, e la sua narrazione entra costantemente in conflitto con la verità del percorso di Rosa. Abbiamo girato in pellicola, alternando 35mm, Super 16 e digitale, per creare texture visive diverse, legate alle emozioni e ai punti di vista. Ogni formato ci ha permesso di esprimere meglio i diversi strati della storia: quello mitico, quello intimo, quello sognato. I western sono sempre stati uno specchio attraverso cui scorgere il contesto socioculturale in cui sono stati realizzati, e questa è la nostra opportunità per fare un film che parli attraverso il genere del mondo in cui viviamo: un mondo di false apparenze, individualista, surreale, spesso ostile e malvagio, dove l’unico sentiero verso la redenzione è l’amore.
Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis