Note di regia di "Celestiale"
Ogni personaggio di Celestiale esprime un diverso approccio alla sostanza. Suor Celeste la conosce bene. Nella sua confessione afferma che “si faceva di tutto”. Non ha nessuna intenzione di ricominciare a vivere una vita da tossica, ma è una codarda e pensa che il coraggio che le manca lo può trovare solo nell’MDMA. Per Suor Lucrezia mi sono basato sulla teoria secondo cui moltissimi mistici cattolici, e non, siano in realtà persone molto religiose che sono incappate involontariamente in pane fatto con segale contaminata dall’ergot, il fungo parassita da cui è stata sintetizzata l’LSD. Lei essendo un hooligan di Gesù era la vittima perfetta per questo misticismo espresso. Suor Lucrezia però rappresenta anche chi, dopo aver provato l’MDMA, pensa che “tutto il mondo debba sentirsi così”. Questa condizione è ben descritta in “Come cambiare la tua mente” di Michael Pollan nel passaggio in cui racconta di Timothy Leary, colui che agevolò la diffusione capillare dell’LSD negli Stati Uniti alla fine degli anni 60. Una cosa che ho sempre detestato è il modo di rappresentare gli stati di alterazione derivati dall’uso dell’ecstasy. Tendenzialmente open shutter, immagini confuse, alterazioni visive, iper saturazione acida dei colori, suono ovattato prima e distorto poi. Che noia tremenda. Quindici anni fa per caso vidi su Rai 4 a tarda notte “Stati di Allucinazione” di Ken Russell e credo che l’eco di quel film sia arrivato fino alle scene di allucinazione di Celestiale. Non volevo rappresentare delle vere e proprie visioni ma dei pensieri, delle sensazioni che unissero le icone della mitologia cattolica con elementi più o meno riconoscibili della Rave Culture. Tutto quello che vedete nel film è girato dal vivo, non sono stati utilizzati effetti speciali o Ai, al massimo qualche maschera. Infine c’è Don Marco, un “progressista bacchettone bugiardo”, una figura abbastanza “classica” che ho trovato moltissimo in “Sodoma” di Frédéric Martel (un libro inchiesta sullo stato dell’omosessualità nel clero degli ultimi 50 anni). Provavo un’estrema pietà per lui e per la sua disgraziata storia d’amore con Dario. Non mi sentivo di giudicarli e quindi gli ho dato una sorta di lieto fine. In definitiva ho provato a raccontare i personaggi senza moralismi e senza la pretesa di salvare nessuno. Celestiale è una parabola sbilenca che non offre soluzioni, non lancia proclami: vuole solo mettere in scena il momento esatto in cui tre persone smettono di mentirsi e diventano “uno”.
Nicola Garzetti