VENEZIA 82 - AMMAZZARE STANCA di Daniele Vicari
Può una storia criminale degli anni '70 diventare un potente monito accogliendo domande e dubbi rispetto a chi siamo?
Questa sembra la forza del film di
Daniele Vicari, regista di
Ammazzare stanca. Autobiografia di un assassino, presentato nella sezione Venezia Spotlight all'82esima Mostra del Cinema.
La pellicola si ispira all'omonimo romanzo di
Antonio Zagari, figlio di un boss calabrese trapiantato in Lombardia. Un racconto che si svolge negli anni Settanta, periodo in cui la ndrangheta calabrese si sta espandendo rapidamente anche nel Nord Italia. Una storia letteralmente di confine dove il "varesotto", la provincia lombarda è a un passo- o sentiero di contrabbando-dalla Svizzera.
Qui siamo ancora alla periferia di "un'epica della mala" delle città del Nord -iniziata dalla Banda Cavallero- e trasformatasi poi "in leggenda" a Milano nell'incrocio tra mafia e Comasina del "bel René" Vallanzasca. Il look che i nuovi picciotti o figli delle 'ndrine esibiscono si incrocia con quegli immaginari ma il vestire stride con le radici: i padri emigranti della malavita sono spesso fedeli a un mondo lontano, arcaico e soffrono nei loro figli quella sorta di assimilazione culturale, consumista e persino fordista del lavoro che impernia il tutto il Nord industriale.
Il protagonista del film, la sua evoluzione, è proprio il figlio di un piccolo 'ndraghetista trapiantato nella provincia di Varese. Lui come suo fratello è battezzato al destino criminale tracciato da padre e padrini che nel controllo del territorio, organizzano estorsioni e omicidi. Il ferimento e l'arresto dopo una rapina sanguinosa metterà in definitivamente in discussione quel Sistema su cui quella realtà si fondava. Attraverso la scrittura in carcere il protagonista riuscirà a leggere, letteralmente, la sua Storia distanziandosi da una identità imposta dalla "famiglia", dalla Effe sia minuscola che maiuscola. Questa rottura per lo spettatore può divenire un simbolo universale di perdita delle catene, dei vincoli, una liberazione da un irreversibile destino sociale. Un autobiografia, seppur elementare, con un sguardo interno sulla Famiglia ovviamente amorale, capace però -con la rottura del silenzio - di scardinare l'ordine gerarchico che rifiuta ogni libera soggettività.
Differenti figure graviteranno attorno al protagonista, segnalando il rifiuto attraverso l'insofferenza e la fisicità contrapposta al comando. In questo trovano spazio come interpreti, nella pellicola distribuita da 01 Distribution, Gabriel Montesi, Vinicio Marchioni, Selene Caramazza, Andrea Fuorto, Thomas Trabacchi, Pier Giorgio Bellocchio, Francesco La Mantia, Vincenzo Zampa, Aglaia Mora, Cristiana Vaccaro, Enrico Salimbeni, Saverio Malara, Stefano Grillo, Giovanni Galati, e Rocco Papaleo nel ruolo di Don Peppino.
Colonna sonora, composta da Teho Teardo, in bassa frequenza costruita intorno alla chitarra battente calabrese, caratteristiche timbriche particolari con registro sonoro che pure lavora sulle assenze. Un cast corale che prova ad entrare nel corpo nel racconto, tentando di sfuggire alle molte allegorie che la narrazione cinematografica recente ci ha offerto rispetto alla malavita. Tutto quel pulp che vediamo in scena ci sembra -come riflesso- una citazione di altre fiction.
Domandando questo punto direttamente al regista-cosceneggiatore Daniele Vicari, comprendiamo come lo stesso memoriale fosse intriso di situazioni sanguinarie e ultraviolente.
Nel difendere questa integrità il lavoro di Vicari si sviluppa proprio nella cornice di un contemporaneo gangster movie che ibrida la koinè "mafiosa" mantenendo però lo sguardo interno dell’autore in un contesto specifico.
Il racconto degli anni Settanta vive "necessariamente" una contaminazione politica. I coetanei di Antonio provano a ridiscutere, a Voler tutto a "riprendersi la vita" come recitano scritti e slogan di allora. In una fase storica di rivendicazioni il protagonista vive le contraddizioni del suo lavoro in fabbrica, dei suoi desideri seppure non limitati dalle frustrazioni culturali. Siamo lontani dall'impegno politico metropolitano o dal sentimento di appartenenza di classe, ma esiste comunque un tema generazionale e di nuova cittadinanza, dove il rifiuto è comunque un atto politico. Sappiamo e il film lo sottolinea che esisterà nei fatti une entente cordiale tra le mafie e il potere statale: l'eroina. Sostanza discriminante nella mentalità sociale tra le vecchie e nuove leve di Cosa Nostra e 'Ndragheta.
Da quel momento il mercato sarà omogeneo mentre le generazioni si frantumeranno.
Quel futuro mondo arcaico- integrato e alfabetizzato- diverrà moderno potere.
Marco Guarella03/09/2025, 18:44