Note di regia di "Portobello"
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Portobello" è una storia drammatica (tragica per come è finita) di un’Italia che stava cambiando in tante direzioni (la fine degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso). La politica, con l’assassinio di Moro, la fine del terrorismo, e i grandi partiti che entrano in crisi e non si riprenderanno più. Partiti che non controlleranno più la televisione pubblica. Nascono le prime televisioni private e Berlusconi, contro la Rai, contro il canone. La pubblicità, le interruzioni pubblicitarie, le grandi utopie si riducono fino a scomparire. La grande Rai (mamma Rai) non ha più il monopolio in questa nuova realtà sempre più disimpegnata, sempre meno ideologica, e Tortora si trova a suo agio, prende il suo spazio, il liberale Enzo Tortora (partito che contava poco o niente) del suo essere libero fa la sua arma, la sua bandiera, il suo stile, lo ripeterà sempre: non sono ricattabile (non dimentichiamo le sue battaglie contro la loggia P2), dando spazio e parola a chi non ha nessun potere, permetterà così agli umili, ai bizzarri, a chi vuole giustizia, di parlare, ai più strani inventori di proporre agli italiani le più strane invenzioni. Il mercato di Portobello. Il sogno della ricchezza e della fama per tutti.
Un pubblico sempre più grande (fino a 28 milioni) che a lui si rivolge per denunciare le grandi e le piccole ingiustizie subite ogni giorno. Più le piccole che le grandi (per esempio la sparizione degli
orinatoi nelle grandi città...). Questa Italia di chi conta poco o niente trova in Enzo Tortora un formidabile laico sostenitore che per una sera, un minuto, permette di parlare con tutta l’Italia, un minuto di celebrità.
Enzo Tortora è l’Italia di quegli anni, un vincitore, vittima di un inspiegabile errore compiuto da giudici onesti, in buona fede, che combattevano la criminalità, la camorra, rischiando la vita tutti i giorni (a Napoli più di un omicidio al giorno), ma che non vollero vedere, accecati da un’idea
missionaria di giustizia, e che, ancora più inspiegabilmente, non vollero riconoscere il proprio errore... La Giustizia Divina che non può sbagliare.
Per una serie di coincidenze assurde, di falsi pentimenti Enzo Tortora viene arrestato, processato, condannato e solo alla fine assolto. Dissero certi giornalisti che la via Crucis di Enzo Tortora non fu solo per sfortuna: Enzo Tortora era antipatico a una potente classe intellettuale che vedeva con disprezzo e grande invidia questa sua enorme popolarità, di un liberale che non veniva dal popolo e che era un borghese molto presuntuoso. Il fatto poi che non avesse padrini, non era protetto né dalla D.C. né dal P.C.I., le due grandi chiese di allora, non appartenesse a logge massoniche, era laico e perciò anche la Chiesa diffidava di lui, insomma non godeva di nessuna protezione, lo danneggiò. Lo condannò.
Tortora alla fine viene assolto anche se per ingiustizia morirà. Resta il mistero della cecità di certi giudici oltre ogni umana immaginazione. E la perseveranza nel loro errore.
Marco Bellocchio