VENEZIA 82 - Loris G. Nese: "Dieci anni per Una cosa vicina"
Loris G. Nese arriva a Venezia 82 con un lavoro molto personale, il documentario "
Una cosa vicina", in cui racconta un aspetto molto personale (ma con tratti universali) della sua storia. Lo abbiamo intervistato.
"Una cosa vicina" racconta una storia molto privata: da quando pensavi di farlo e perché ora è il momento giusto?
Questo lavoro ha avuto una gestazione decisamente lunga, è il primo progetto in assoluto a cui ho iniziato a lavorare, all'inizio solo come esigenza personale, istintiva, poi via via più strutturata.
Ho scritto l'inizio dieci anni fa, un impulso adolescenziale mentre vedevo i film che amavo della nuova Hollywood - Scorsese, De Palma, Coppola - che sembrava parlassero anche un po' di me. Più avanti ho metabolizzato: quando ho iniziato a sedermi al tavolo e mettere le mani su quello che era davvero, ho capito quanto fosse complesso e impegnativo da fare...
C'era anche il bisogno personale di me come autore di raccontare cosa rimanesse da questo tipo di vita, in una famiglia apparentemente perfetta in cui il "meccanismo" si inceppa: vediamo cosa si trovano ad affrontare le persone che rimangono.
Volevo uscire dalle dinamiche di questo tipo di storie, di come ne parla la cronaca, sempre con schemi precostituiti, ma anche tanta serialità tv (che mitizza i personaggi in eroi romantici). Volevo stare nel mezzo, mostrare tutti i paradossi e la complessità di questa storia, seminare dubbi più che risposte.
Nel film usi materiali d’archivio, animazione, riprese familiari e riprese documentarie: un equilibrio complesso ma ottimamente gestito.
La scrittura è stata molto complessa, ci sono state diverse fasi negli anni, poi è arrivata la vera e propria sceneggiatura. Riuscire a equilibrare il tutto al montaggio non è stato semplice, è stata fondamentale Chiara Marotta - da sempre lavoro con lei, è anche la co-fondatrice di Lapazio Film, con cui abbiamo prodotto "Una cosa vicina" - lo abbiamo praticamente riscritto.
Ci piace capire il potenziale del materiale che abbiamo: dall'archivio alle diverse tecniche di animazione, alla ricostruzione in live action... è stato necessario quasi un anno di montaggio.
Il tuo film è anche una dichiarazione sul potere del cinema?
Quello che ha tenuto tutto insieme è stata l'occasione di fare il film, sicuro. Ma mi piace pensare che il cinema non arrivi fino a questo punto, la visione ti mette in condizione di condividere il percorso e le emozioni, ma a un certo punto la camera si spegne e la vita va da un'altra parte.
Capire cosa andasse raccontato, cosa potesse entrare nel film, è stata un'altra fase delicata. Ma non saprei rispondere se tutto questo percorso mi abbia lasciato più risposte o più domande.
Parlando delle interviste che hai fatto: è molto bello vedere come lentamente i tuoi intervistati si aprono e ci permettono di entrare nel racconto.
Si tratta di una storia che ha anche risvolti pubblici, ci sono cose in parte già note ma che sono raccontate per la prima volta in questo modo: l'idea era di avvicinarsi lentamente e fare un percorso di elaborazione insieme.
È stato un progetto per forza di cose partecipativo, le persone coinvolte hanno partecipato per anni... quindi si percepisce un'evoluzione. Ma non c'è una soluzione finale, in fondo, è anche un'ammissione dell'impossibilità di risolvere alcune cose: mi piaceva l'idea di un film che fosse problematico e ambiguo fino in fondo.
Le voci narranti sono quelle di Francesco Di Leva e di suo figlio Mario.
La prima collaborazione con Francesco è stata nel 2023, per il corto "Z.O.": amo la sua voce, il suo timbro. Ho scritto per lui, diciamo che quel corto è una sorta di spin-off di questo film, era anche un test visivo, linguistico e contenutistico.
Abbiamo provenienze simili, entrambi dalle zone est delle nostre città, lui Napoli Est, io la Zona Orientale di Salerno. Abbiamo un approccio particolare, ci piace partire dal testo: io sono anche molto rigoroso all'inizio (cerco di scrivere battute che siano musicali, la mia ispirazione viene da fumetti e musica rap, amo gli incastri armoniosi, quasi come fossero punchline musicali), ma poi ci facciamo prendere da quello che può succedere.
Io sto con lui quando registriamo, lui racconta a me quello che dice: si crea un rapporto diverso dal recitare una battuta scritta. Ha anche improvvisato qualcosa, era giusto così.
E poi stavolta c'è anche Mario, suo figlio: è stato interessante lavorare con le caratteristiche vocali dei due, un timbro con sfumature vocali comuni, le differenze anagrafiche tra loro ci hanno permesso di creare un personaggio che cresce negli anni.
Dopo un lavoro così personale, che si fa?
Prima di fare questo film ho fatto quattro corti che raccontavano in modo diverso sempre la mia personalissima biografia, a volte anche in maniera più velata e meno esplicita. Io non riesco a scrivere cose troppo lontane da me: il prossimo film, che sarà di fiction, è quindi in parte una rielaborazione della stessa storia, ma apertamente finzionale, sempre concentrata sulla marginalità sociale della periferia.
Per ora è solo in live action, più tradizionale, ma mi sto interrogando se inserire o meno altre forme di linguaggio.
26/08/2025, 09:35
Carlo Griseri