MAGICO REALISMO - "Soldini e il suo cinema fluido, leggero e ironico"
Un testo davvero importante, approfondito, appassionato: cosa l'ha convinta a dedicare tutto questo tempo e lavoro al cinema di Soldini? Da critico ma anche da spettatore.
Quando si parla di un libro ci si riferisce sicuramente a un contenitore: di storie, di idee, di teorie, di immagini (nel mio libro ve ne sono una ottantina scelte con l’autore e il suo fido collaboratore Giorgio Garini), qui un volume corposo di 430 pagine (due anni di lavoro), curato in tutti i particolari grazie anche all’editore che ha creduto nel progetto.
Però naturalmente a monte c’è una motivazione, un perché scrivere su quell’autore, quel regista, una scelta di campo, in questo caso un’empatia con la sua opera con i suoi stilemi, la voglia di raccontare il suo cinema, il suo linguaggio ma anche possibilmente le sue passioni, i suoi valori esistenziali, la sua rappresentazione del “disagio della civiltà”.
E poi come spesso accade quando si intraprende un processo creativo alla base c’è un incontro come è stato per me con Silvio Soldini, che ho incontrato per la prima volta nel 1983 proprio in occasione del suo film d’esordio qui al festival di Locarno dove “Paesaggio con figure” era stato selezionato in concorso. Io ero allora responsabile delle giornate di “Cinema e gioventù” una sezione che esiste ancora nel contesto del festival. Fu l’occasione per incontrare Soldini a dibattere con una trentina di giovani insieme al suo allora direttore della fotografia Luca Bigazzi e l’attrice del film Carla Chiarelli e cominciare a capire le intenzioni del suo fare cinema.
Soldini è un autore meno celebrato di quanto meriterebbe, quasi "riscoperto" a ogni nuovo film, come se ci si dimenticasse di lui ogni volta: colpa del suo decentramento geografico, del suo carattere o di altro? Dopo l'exploit di Pane e Tulipani in pochi anni uscirono diversi libri sul suo cinema, poi basta.
Sì, a quell’epoca Silvio era un po’ schivo, parlava poco, ma non era un atteggiamento, era un comportamento dettato più che altro dalla sua timidezza, dalle sue incertezze di giovane autore.
A oggi ha realizzato, tra cortometraggi, documentari e fiction 40 film, una filmografia importante che quindi valeva la pena raccontare, analiticamente, in una summa monografica che fino ad oggi non era ancora stata formulata, a parte qualche testo compilativo e una monografia di Silvia Colombo del 2002 se non in un libro di una studiosa presso l’università di Auckland in Nuova Zelanda apparso in inglese nel 2008.
E quindi c’era anche il desiderio di riportare un autore un po’ negletto, dopo il grande successo di “Pane e tulipani” nel 2000 come dice bene Piera Detassis nella introduzione al mio ibro “al cuore del cinema italiano, quello meno compiacente” magari rispetto a certe produzioni romane.
Come si è evoluto negli ultimi anni il suo cinema?
Dopo “Pane e tulipani” Soldini ha realizzato altri film “importanti”, pensiamo a “Giorni e nuvole” o al “Il colore nascosto delle cose” ma anche a documentari come “Per altri occhi” o “Il fiume ha sempre ragione”, senza contare i suoi ultimi. Soldini ha sviluppato nel tempo un modo di fare cinema fluido, leggero e ironico anche nella complessità delle situazioni narrate, che guarda anche alla società o ai temi della “grande storia” (come ne “Le assaggiatrici”) di volta in volta affrontati con lucidità di sguardo, uno sguardo che sa e mostra, ma anche con un calore che è cresciuto di film in film e che è amore per i personaggi e gli attori, sempre così ben diretti, che li interpretano e le storie che racconta.
Ma soprattutto è rivelazione d’interesse per il “dispositivo cinematografico”, la consapevolezza di costruire un testo audiovisivo utilizzando abilità tecniche e conoscenze del linguaggio filmico ma al servizio dello spettatore.
Magico realismo: un titolo che riassume molto bene i film di Soldini. Come è nata questa definizione e come la spiegherebbe a chi non ha mai visto i suoi film?
“Magico realismo” è un termine che ho mutuato, giocando in una sorta di chiasmo con il “realismo magico” di novecentesca memoria e quello di certa pittura e letteratura latino americana degli anni 60/70.
Come il realismo magico il suo “magico realismo” è contraddistinto dalla presenza imprescindibile di elementi insospettati (casuali), straordinari, surreali, magici per l’appunto classi all’interno di contesti del tutto ordinari, quotidiani, del tutto verosimili. Pensiamo a film ascrivibili al genere della commedia come (Pane e tulipani, Agata e la tempesta Il comandante o la cicogna) ma anche a Le acrobate, Fate in blu diesis o l’episodio Estate, con il ricorso alla dimensione onirica, mitica o leggendaria
Ma l’obiettivo del suo “magico realismo” non è allontanarsi dalla realtà ma è far emergere attraverso la fantasticheria, la dimensione onirica, tutti quelli elementi della realtà apparentemente irrilevanti perché sopiti “La magia è la pratica di rendere presenti le cose che sono assenti e assenti le cose che sono presenti” come dice Hans Ulrich Gumbrecht filosofo e teorico letterario.
Le Assaggiatrici è un film molto lontano, a prima vista, da quello che lo ha fatto conoscere: come lo inquadra lei e che direzione potrà prendere in futuro?
Certo “Le assaggatrici” è un film un po’ eccentrico nella filmografia di Soldini, il suo primo in costume, il suo secondo tratto da un romanzo, dopo “Brucio nel vento” (da “Hier” di Agota Kristof). Parte da una sceneggiatura già abbozzata da più mani (forse un limite per il suo sviluppo drammaturgico) chiedendo in partenza di girare in tedesco con attori tedeschi. Ma Soldini ci ha abituato a percorrere strade diverse da un film all’altro, movendosi in ogni caso tra intimismo e attenzione alla realtà e tra sorriso e dramma e qui si addentra in un esperimento di “genere”, affidandosi però a collaboratori fidati come Cristiani e Garini, Bizzarri, Sciaroni e a un sublime direttore della fotografia sperimentato come Renato Berta e a un maestro delle musiche come Mauro Pagani. Straordinario per contro è come riesce a dirigere, ancora una volta in modo magistrale, gli attori, in particolare le giovani attrici la maggior parte delle quali non ancora affermate.
E’ qui che sta il pathos l’emozione vera del cinema di Soldini: nel rapporto sentimentale, caldo con gli attori e specialmente le attrici: “una rivelazione dopo l’altra,” come dice bene Piera Detassis “un vivaio-laboratorio di interpreti (alcuni di loro oggi riempiono la scena italiana), bravissimi, còlti sull’attimo, a volte sul nascere, da uno sguardo attento e visionario”.
Oltre a quelli su cui ha già scritto, ci sono altri autori/autrici su cui le piacerebbe scrivere? E perchè?
A me interessano quei registi come Alain Tanner, Villi Hermann o Silvio Soldini (a cui ho dedicato delle monografie) che hanno la capacità di sguardo sulla realtà e sulle modalità di rappresentarla attraverso il cinema, attenti non solo al “che dire” ma anche al “come dire”. Che aspirano, con la loro arte, a una interpretazione del mondo attraverso il disvelamento dei processi di rappresentazione, delle varie marche e linguaggi dell’enunciazione: le carrellate, i piani sequenza, “la giusta distanza” delle inquadrature. Che oltre a una più o meno velata critica comune della società borghese, magari proveniendo proprio da quel milieu, la espletano attraverso un’elegia poetica.
Per esempio mi piacerebbe scrivere dei saggi su Tarkovskji o, per restare all’italianità, su Michelangelo Antonioni. In particolare, vorrei approfondire una ricerca sulla sua serie intitolata “Montagne incantate” che sono degli ingrandimenti fotografici da piccoli dipinti. Queste opere si inseriscono nel contesto dell’interesse del regista per la trasformazione e l’approfondimento del “mostrare” che connota anche il suo cinema. Suscitano domande molto attuali sulla natura della riproducibilità, sulla differenza tra originale e copia, sulla percezione del reale, sul rapporto tra arte e realtà.
02/07/2025, 14:09
Carlo Griseri