Note di regia di "Memorabilia - Una Storia di Famiglia"
Questo docufilm si dedica profondamente alla memoria di mio zio Paolo Morassutti e di Antonio Rampin, ex dipendente e attore. Attraverso il loro ricordo e l'intreccio con la storia della mia famiglia, mi propongo di esplorare una verità universale: il legame indissolubile tra la giovinezza perduta e il profondo peso della vecchiaia.
Il cuore pulsante di Memorabilia - Una Storia di Famiglia pulsa di nostalgia. Non è solo la nostalgia della mia giovinezza trascorsa qui a Padova, né unicamente quella espressa dalle persone che intervisto; è una nostalgia collettiva, che abbraccia gli anni più belli: quelli della scoperta di sé, dei giochi spensierati, dei primi desideri e sogni, e delle amicizie e degli amori che plasmano indelebilmente chi siamo. Desidero che questo film sia un autentico viaggio emotivo in un passato vivido, un'immersione nelle sensazioni di un'epoca che, pur non potendo tornare, continua a risuonare potentemente dentro di noi.
La narrazione si snoda attraverso le voci degli ex dipendenti della ditta fondata dai miei antenati, molti dei quali hanno anche calcato il palcoscenico con la compagnia teatrale Paolo Morassutti. Le loro interviste trascendono il mero resoconto; sono finestre aperte su un vissuto autentico e palpitante. Essi rievocano la gioia di un lavoro stabile, l'euforia che solo il palcoscenico sa donare e la solidarietà profonda tra colleghi. Ma non si sottraggono al racconto delle amarezze, delle delusioni e dei sogni infranti. Il filo conduttore di queste preziose testimonianze sono gli oggetti che hanno gelosamente conservato nel tempo. Una vecchia locandina, una foto ingiallita, un copione sottolineato: questi non sono semplici cimeli, ma si trasformano in potenti catalizzatori di emozioni, capaci di far rivivere interi mondi passati. La loro tangibilità è la chiave che mi permette di svelare l'essenza emotiva che ricerco.
Parallelamente a queste testimonianze, la mia presenza nel film si delinea nel ruolo di investigatore e testimone. Il mio percorso di ricerca sulla storia familiare diventa un intimo riflesso della mia stessa giovinezza, di quando, negli anni '90, ho mosso i primi passi sul palcoscenico del teatro Antonianum a Padova – lo stesso luogo dove la compagnia Paolo
Morassutti recitava negli anni '60. Questa risonanza storica e personale è un elemento fondamentale. Ricordo vividamente mio zio Paolo che, con un gesto di profondo sostegno, mi inviava mille dollari per inseguire il mio sogno artistico a New York. Questo atto di fiducia e incoraggiamento, così simile al supporto che i miei antenati offrivano ai loro dipendenti per dedicarsi al teatro, incapsula un tema cruciale del film: l'importanza intrinseca di credere e investire nei sogni, siano essi propri o altrui.
Sebbene la storia prenda avvio da un contesto specifico, il mio desiderio più profondo è che il racconto si elevi a qualcosa di universale. Non si tratta di una storia mainstream, ma credo fermamente che la sua onestà emotiva possa toccare e risuonare profondamente in chiunque abbia mai guardato indietro con un misto di nostalgia e malinconia, o che abbia cercato un senso nella propria identità e nel legame indissolubile con le proprie radici. Desidero che il pubblico percepisca il peso e la bellezza di questi ricordi, e che riconosca nell'esperienza degli altri un frammento della propria.
Il rapporto tra dipendenti e titolari, le opere filantropiche della mia famiglia, il successo della compagnia, la religiosità o le vicende finanziarie più amare (come la vicenda Sindona) sono elementi presenti, ma fungono da contesto, non da fulcro narrativo. Il vero motore del film è, senza dubbio, il ricordo – evocato con potenza dagli oggetti – e le intense emozioni che esso genera, vibrando nel presente.
Giovanni E. Morassutti