Note di regia di "Abito di Confini. Muoversi
Dietro le Quinte del Palcoscenico Italiano"
Nel 2022-23 ho collaborato con l'Università di Parma sul progetto di ricerca MOBS ('Mobilità, solidarietà e immaginari attraverso i confini: spazi di transito e di incontro'), con il compito di studiare la migrazione alla frontiera montana tra l'Italia e la Francia e di produrre materiale artistico da utilizzare nei laboratori che abbiamo tenuto in loco con operatori sociali, volontari e altre persone coinvolte nella solidarietà territoriale. Avendo osservato e ascoltato molte storie di migrazione da un punto fermo lì alla frontiera, mi sono reso conto che tutti questi movimenti avvenivano all'interno della mia inquadratura fissa. Un punto di vista stabile è comunque un posizionamento attivo, e il mio replicava quello degli abitanti, degli operatori sociali, della polizia: i miei co-sedentari. Se volevo produrre materiale che potesse favorire una consapevolezza più profonda e maggiore comprensione, invitando la gente a riflettere e riconsiderare le proprie esperienze, sentivo di dover sperimentare un nuovo approccio.
Quell'inverno la maggior parte delle persone che rischiavano la traversata alpina erano arrivate dalla rotta balcanica via Trieste, molte solo un giorno o due prima, e mi ha colpito la triste simmetria del loro breve soggiorno transitorio in Italia, che così tanto sforzo era stato fatto per arrivare fin qui attraverso una montagna per poi ripartire attraverso un'altra, i 600 km fra le due frontiere superati in poche ore di treno. Montagna/pianura/montagna; a piedi/in treno/a piedi. Ho deciso di seguire questo percorso con gli stessi mezzi e lo stesso ritmo, sperando di pervenire a una lettura più empatica del viaggio. Ma invece di fotografare chi lo intraprende e rischiare di partecipare all'othering della sua esperienza (per non parlare di altri motivi etici e legali più ovvi), ho cercato di fotografare ciò che qualcuno in tale posizione vede – i paesaggi testimoniati – invertendo lo sguardo e ribaltando la consueta rappresentazione sedentaria della migrazione. In questo modo, non si tratta più della solita visione statica che ritrae persone sconosciute in transito, bensì di una visione mobile che ritrae uno sconosciuto Paese in transizione.
Le immagini elaborate tramite questo approccio recano tracce di storie sedimentate che insieme formano un dinamico paesaggio sfaccettato, ma è proprio la prospettiva soggettiva a rivelare queste tracce. Non sono le singole foto a divulgare il significato, ma piuttosto la combinazione e l'interazione delle immagini. Il vero senso si trova – o meglio, si crea – tra le foto, e sarà diverso per ogni osservatore in relazione alla propria vita e ai propri ricordi. Qui c'era una possibilità. Immagini evocano altre immagini, richiamando altri momenti ed emozioni, e mi sono chiesto se questa ambiguità intrinseca della fotografia potrebbe essere una via per tradurre esperienze così abissali e riportare in dialogo le nostre vite disparate. Molti che vedranno questo film avranno i documenti e le risorse per viaggiare come se vivessero in una realtà alternativa rispetto a quella raccontata qui, ma tutti noi abbiamo avuto freddo, ci siamo persi o ci siamo guardati alle spalle in qualche momento. Forse la fotografia, nel toccare ricordi di azioni ed esperienze, nel restituire la vita ai suoi verbi, può creare piccoli ponti dove le parole e i sostantivi ci tengono separati. Dubbi abbondano, ma così mi sono detto durante il viaggio: Io non posso vivere questa tua esperienza, né comprendere bene ciò che affronti, ma provandoci potrei avvicinarmi.
Immagino che il significato di questo piccolo film si trasformerà presto nel tempo, così come le rotte e i paesaggi rappresentati, ma in quelle buie notti sulla montagna mi è sembrato di grande importanza registrare una memoria di questi incredibili e strazianti viaggi, affinché non vadano perduti in una storia disinteressata come chissà quanti abiti tra le erbacce. I paesaggi non appartengono meno a chi migra, anzi, a volte ci vuole un po' di movimento per vedere dove siamo.
Opher Thomson