CANNES 78 - LE CITTÀ DI PIANURA, un
esordio dal respiro internazionale
È un viaggio vero tra le province della pianura veneta, che parte da Venezia e arriva al Memoriale Brion nei pressi di Treviso, ma è anche una sorta di rito di passaggio nella vita di un giovane studente di architettura per caso “rimorchiato” da due amici ben più maturi e più pronti di lui a godere della vita fino all’ultimo bicchiere.
Questo e molto altro è l’esordio alla regia di
Francesco Sossai, ‘
Le città di pianura’, una vera sorpresa da scoprire, presentata al 78° Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard.
Il film segue la storia di Carlobianchi (Sergio Romano) e Doriano (Pierpaolo Capovilla), due amici di vecchia data, due spiantati cinquantenni con l’ossessione del bere, che per caso incontrano Giulio (Filippo Scotti), uno studente di architettura impacciato e bloccato nei suoi schemi, che non riesce a godere di quei preziosi vent’anni a cui volentieri i due uomini tornerebbero. Carlobianchi e Doriano convincono Giulio a seguirli nel loro tour notturno alla ricerca di un posto dove bere ancora, ma quella che avrebbe dovuto essere solo una notte di follie alcoliche, si trasforma in un piccolo viaggio di due giorni che cambia la vita e la prospettiva sul mondo del giovane Giulio.
C’è un equilibrio spiazzante eppure ben riuscito ne ‘Le città di pianura’ in cui gli assurdi e disorganizzati spostamenti dell’improbabile trio di amici prendono senso. Tutti cercano qualcosa e tutti ricevono gli uni dagli altri qualcosa. Se da un lato il solo scopo per i due protagonisti più maturi di questo road movie italiano sembra quello di continuare a cercare incessantemente quel bicchiere che regali loro la leggerezza e la gioia di un attimo di sospensione dalla pesantezza della realtà, dall’altro il loro caotico vagabondare trascinando con sé il riluttante Giulio tocca paesaggi umani disparati, che sorprendono per il loro essere bizzarri e al tempo stesso profondi.
Con una fotografia quasi essenziale, eppure molto comunicativa, Sossai conduce in un viaggio attraverso le sue terre che diventano rappresentative di stati d’animo con una semplicità che sorprende. L’amicizia, l’amore, il successo e il fallimento, la memoria e la morte si inseriscono con naturalezza nei discorsi da bar dei tre amici che riescono a incidere un solco nell’animo di Giulio e dello spettatore stesso senza alcuna forzatura.
Al termine di questo viaggio, che simbolicamente si conclude proprio con una visita quantomai desiderata al Memoriale Brion, di fatto una tomba, Giulio ne esce cambiato, come pure lo spettatore. Non c’è nulla di didascalico nel film diretto da Sossai e da lui scritto con Adriano Candiago, al contrario tutto accade sotto lo sguardo dei tre protagonisti apparentemente concentrati solo sulla ricerca del bar successivo in cui bere un altro bicchiere ancora. Ma ciò che vivono, osservano, ricordano e si confidano i tre personaggi accompagna in una realtà che riesce a travalicare la pianura, sempre uguale a se stessa, che attraversano.
Ne ‘Le città di pianura’ il tempo sembra sospeso in un’epoca che ricorda più gli anni ’80 che l’oggi. Con una regia che rimanda alla commedia all’italiana o a certi film di Jim Jarmusch o di Aki Kaurismäki, Sossai trascina in un mondo ristretto, apparentemente piatto, ma dal respiro universale.
22/05/2025, 08:43
Vania Amitrano