In occasione del Lucca Comics & Games 24, abbiamo incontrato
Daniele Kong, fumettista romano che grazie a Coconino Press ha esordito nella nona arte con “
Bestie in fuga”, una graphic novel cinematografica per storia e stile, che porta il lettore in una piccola isola sperduta nel Mar Tirreno nell’Italia del Boom economico.
Per esordire nel fumetto hai scelto di raccontare una storia ambientata sul finire degli anni ’50, che per il cinema italiano rappresenta un momento di passaggio cruciale. Da dove nasce la tua passione per il cinema?
Quel periodo storico mi ricorda la mia infanzia, perché paradossalmente al cinema di maestri come Risi e Scola non ci sono arrivato da grande, ma proprio da ragazzino. Da amante del cinema, mio padre aveva un videoregistratore e aveva messo insieme una collezione di film registrati dalla tv, e senza troppi filtri mi sono così ritrovato a guardare film ‘da grandi’, che mi è poi capitato di rivedere e rivedere decine di volte.
Riprendendo la tradizione della commedia all’italiana, in questo libro utilizzi l’ironia per raccontare l’incontro fra personaggi che vedranno per sempre cambiare le proprie vite grazie al cinema…
I personaggi che racconto vivono il cambiamento nella maniera in cui immagino possa essere avvenuto al tempo in certi contesti periferici. Ho giocato molto sul calare la macchina da presa in quell'esatto momento storico, proprio perché mi sembrava il punto di partenza di una caduta di tessere del Domino, come se l'Italia in quel momento avesse perso la sua “verginità”, anche se verginità non lo era. Da quel momento, infatti, è cambiata molto radicalmente la prospettiva e la conformazione della famiglia, della società, delle tradizioni, delle necessità, dei bisogni.
A proposito di ‘posizionare la macchina da presa’ all’interno della storia, ci racconti quale punto di vista hai scelto per raccontare una vicenda che abbraccia più personaggi?
Sono diverse le macchine da presa che ho posizionato, e penso dipenda da quanto ci tenga a pensarla come una storia corale, e non come la storia di un singolo che racconta le storie di altri. Difficilmente disegno un personaggio durante i firma-copie, perché ho sempre la paura di dare un'indicazione della preferenza di un personaggio rispetto ad un altro, e per me sono quasi tutti principali. In quei casi tendo infatti a disegnare solo l'isola, che per me segna il vero fil-rouge di tutta la storia, anche quando non c'è perché una parte della storia poi si sviluppa a Roma. Il contesto e il filo che lega tutto è sempre la dipendenza dall'isola, il come l'isola sia cambiata dopo il film, e come i personaggi con il loro film hanno modificato la vita dell'isola.
La copertina del libro sembra omaggiare il felliniano “Amarcord”. Solo una suggestione, o è stato un modello?
La copertina è nata pochi giorni prima della pubblicazione e la riflessione è stata proprio quella di partire da quel tipo di manifesto cinematografico, ma cercando allo stesso tempo di dare un orizzonte dell'immaginario che volevo ricreare con il libro. Nel manifesto del film di Fellini le figure sono prese frontalmente in modo statico, mentre qui ho voluto proporre una visione un po' più dinamica, buttandoci in mezzo anche tutti i fogli svolazzanti del diario di Franco. Ho cercato di offrire una visione di tutti i personaggi di fronte alla scenografia più complessiva della storia, l'isola.
Uno dei personaggi cruciali di questa storia è un regista che vive un momento di grande difficoltà, e che si trova a mettere in scena un film su un personaggio sempre rischioso da portare sul grande schermo, ovvero Gesù. Da dove nasce l’idea trasformare lui stesso a poco a poco in un “povero Cristo”?
Anni fa, in un mercatino napoletano di libri usati, trovai un libro sessantottino che rileggevano la figura di Gesù in chiave marxista. Lo comprai e iniziai a leggerlo, ma nonostante fosse interessante e ricco di citazioni, lo trovai ostico e difficoltoso, tanto da dover interromperlo. Quell’immaginario però è finito per rientrare nel mio libro, perché mi piaceva l’idea di riportare il sentimento politico di quegli anni nella personale tragedia di un regista all'ultima spiaggia, costretto a lavorare alla storia meno modificabile in assoluto, quella di Cristo. Tra una sceneggiatura impossibile e una terribile troupe da Brancaleone, in modo metaforico e ironico si prefigura così la situazione peggiore che possa capitare ad un regista.
05/11/2024, 07:19
Antonio Capellupo