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TROPPO AZZURRO - Timido per vocazione


Filippo Barbagallo scrive, dirige ed interpreta il suo lungometraggio d’esordio presentato con successo all’ultima Festa del cinema di Roma. Una commedia giovanile malincomica che strizza l’occhio al cinema gentile di Gianni Di Gregorio.


TROPPO AZZURRO - Timido per vocazione
Una commedia giovanile che non ha la pretesa, evviva, di essere un manifesto generazionale; un esordio sorprendente per leggerezza di scrittura e vocazione malincomica; un torrido agosto romano fotografato con grazia e candore e una timidezza patologica, quella del protagonista e del suo autore, che diventa l’altra faccia di questi tempi da tutto e subito.

Scritto, diretto e interpretato da Filippo Barbagallo, Troppo Azzurro - presentato con successo nella sezione Freestyle all’ultima Festa del Cinema di Roma- è l’opera d’esordio del figlio del noto produttore romano Angelo (che qui non produce, altra nota di merito alla faccia del familismo italico). Un po’ Nanni Moretti per il suo caustico moralismo, un po’ Valerio Lundini per quell’aria stralunata ma, soprattutto, molto Gianni Di Gregorio (qui nelle vesti di supervisore artistico) per quell’aria da marziano caduto su un altro mondo col sorriso bonario sempre stampato in faccia.

Venticinquenne (ma il regista è del 1993) e studente di architettura, Dario si trova a trascorrere i solitaria l’estate romana dopo la partenza dei genitori (Valerio Mastandrea e Valeria Milillo) per le vacanze. Accomodato nell’adolescenza infinita, con gli amici di sempre al suo fianco e una ragazza dei sogni (Martina Gatti) che ammira come un quadro ma non conosce, il protagonista di Troppo azzurro conoscerà una coetanea in ospedale (lui con le ustioni sul braccio dopo il tentativo di cucinare un pesce scongelato, lei,Alice Benvenuti, con problemi alla caviglia ) che lo invita a seguirlo a Rimini. Forse troppo per un ipocondriaco che convive col dolore dell’anima (legge L’Occhio di Nabokov) e fa collezione di occasioni mancate.

Minimale, sospeso e garbato, l’esordio di Barbagallo - perfettamente accompagnato dalle musiche dei Pop X- passa in rassegna nevrosi e stati d’animo con la forza dell’autenticità e della sincerità di tono. “Non mi fido di chi fa calcoli e vuole mettere in scena le problematiche di un target preciso, così poi si finisce per non parlare davvero a nessuno” dice il giovane regista che sta già pensando al suo prossimo film. “In fase di scrittura mi ero riproposto di non eccedere con battute e tormentoni preferendo una sceneggiatura che privilegiasse la semplicità” continua Barbagallo che poi tesse le lodi di Gianni Di Gregorio.

“Lui è stato il mio nume tutelare e ha dato un apporto impossibile da quantificare al film. Come regista lo sento vicino e per me è un esempio e come amico (Angelo Barbagallo ha prodotto tutti i suoi film ndr) mi ha rassicurato. Senza contare il corso intensivo di recitazione che è stato davvero fondamentale. Con lui c’è una sorta di fratellanza, cinematografica e di vita, e sono fiero di averlo avuto vicino in quest’opera prima”.

Nel film si dice che la felicità consiste nell’osservare e si lodano le rovine rassicuranti. Inusuale per un giovane come te. “Dall’asilo mi dicono che sono un giovane vecchio” scherza Barbagallo “e forse quando invecchierò scoprirò la gioventù. I social non mi piacciono e non fanno bene alle persone. Quando ero alle medie è cominciato il fenomeno Facebook ma il meccanismo di mettere in vendita una parte di se non fa per me. Non voglio fare pubblicità con la mia vita”.

In sala dal 9 maggio 2024 distribuito da Vision e prodotto da Elsinore Film, Wildside e Vision Distribution col contributo del Ministero della Cultura.

30/04/2024, 08:00

Claudio Fontanini