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Note di regia di "Stessi Battiti"


Note di regia di
Per anni l’Italia sportiva, non solo quella del ciclismo si è divisa tra due corridori: Fausto Coppi e Gino Bartali. La domanda era uguale per tutti: chi è il più forte?
Questo era il dilemma che attanagliava milioni di italiani tra il 1940 e il 1948.
Era l’Italia della guerra e della sconfitta. Uno stivale ammaccato, umiliato e depradato. E su quelle strade polverose disfatte dai bombardamenti alleati, in molti pedalavano per realizzare i propri sogni. Due corridori su tutti però quelle strade riuscirono addirittura a ripararle, a ricucirle nei percorsi che portavano da nord a sud, da est ad ovest. Era il giro d’Italia del 1948, di quel paese con i calzoni “americani” e con i contadini vestiti di stracci e
scarpe abbondanti, dove si sudava e si pedalava senza mai lamentarsi.
L’apoteosi dello sport, del suo messaggio, dei suoi valori.
Eppure, Bartali e Coppi erano in fondo due giovani che però, su quelle strade maledettamente ferite, vedevano i loro sogni.
I sogni….appunto, e i giovani, appunto …
Ho scritto questa sceneggiatura con l’obiettivo di parlare del sogno, inteso come mezzo per migliorare se stessi. Ho immaginato così un giovane che sapesse ancora sognare, che avesse le idee chiare sul suo futuro e che facesse di tutto per realizzare quella necessità,
perché sognare è necessario. Non ci si può esimersi.
E allora perché i giovani non sognano, o perlomeno, perchè molti di loro non lo fanno. Io penso semplicemente perchè hanno tutto e questo “tutto” li appiattisce, li svuota, li rende tutti uguali e così, il mio povero Federico, protagonista di questa storia nasce spogliato dei
suoi averi. Ha una bicicletta scassata e vuole fare il ciclista professionista. Ma se avesse voluto fare il calciatore, sarebbe nato dalla mia penna senza le scarpe e il pallone perchè i
sogni vanno costruiti, cementificati nelle nostra ossa, impressi nella nostra testa.
Federico è un po’ Bartali, un po’ Coppi e se dovesse rispondere alla domanda che attanagliava gli italiani del dopoguerra, lui timidamente direbbe così: “Coppi era il talento, il genio, il Campione ma Bartali era e rimane il ciclismo.”
Quanto a me, umile sceneggiatore e regista di questa storia, penso che entrambi erano il sogno più bello chiamato ciclismo.

Roberto Gasparro