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Note di regia di "La Chiocciola"


Note di regia di
Leggendo di recente alcuni articoli su di un forum sono stato attratto da una definizione della nostra società: LIQUIDA. Secondo il sociologo Bauman, una società liquida è un tipo di società in cui i legami sociali tra gli individui sembrano divenire sempre più inconsistenti e fragili e che essi, gli individui, vivono in una dimensione di continua incertezza, sia dal punto di vista affettivo che lavorativo. Bauman sostiene infatti che mentre per le generazioni precedenti vi erano certezze stabili (i nostri padri, i nostri nonni, avevano un lavoro e sapevano che sarebbe stato quello per tutta la vita), per quelle attuali non ve ne siano e quindi, in tali condizioni e con l’assenza di punti di riferimento, gli individui, siano spinti a ricercare forme di stabilità basate sull’individualismo. La conseguenza di questo individualismo spingerebbe i nostri sentimenti di appartenenza e di condivisione a cedere il posto alla competitività, quest’ultima, fautrice di nuove forme di malessere, quali l’ansia, la depressione e le nuove dipendenze. Leggendo quindi la definizione non ho potuto non pensare a Parmenide ed Eraclito, non sono riuscito a non imbattermi nei due pensieri filosofici che hanno caratterizzato il dibattito dal IV secolo A.C in poi: quello di Parmenide dell’“essere” e quello di Eraclito del “divenire” e per un attimo mi sono ritrovato nel Cilento, ad Elea.
“L’essere è e non può non essere, il non essere non è e non può essere” - Parmenide
“La realtà è costituita da elementi contrari. Non esiste un elemento senza il suo contrario, l’uno determina l’esistenza dell’altro, cioè sono inscindibili e interdipendenti” - Eraclito
Uno l’opposto dell’altro, visioni del mondo e della realtà completamente agli antipodi.
L’interpretazione della società e degli individui che la compongono ha quindi radici profonde.
Per Amleto il dubbio era atroce se ci pensate: “To be, or not to be, that is the question” una delle frasi più celebri della letteratura di tutti i tempi. Meglio vivere soffrendo (essere) o ribellarsi rischiando di morire (non essere), questo è il dubbio che impedisce ad Amleto di prendere una decisione, forse addirittura quella di suicidarsi. I dubbi quindi...
E quanti ne abbiamo e quante incertezze i nostri ragazzi, i nostri figli sono costretti ad affrontare. Se ci pensassimo dovremmo spaventarci, dovremmo inorridire dalla paura ma siccome non pensiamo, certi, certissimi, di quelli che siamo, essere e di quello che diciamo, divenire, diamo loro delle certezze di cera, come quelle di Icaro. Cerchiamo di convincerli ad intraprendere delle azioni perché, sulla base delle nostre esperienze, e solo su quelle e quindi poche e personali, affermiamo, consigliamo e sempre più spesso imponiamo.
Crediamo che saranno sicuramente i giusti consigli per la soluzione a tutte le loro paure ed incertezze. Poi però ci sono anche i nostri comportamenti, che il più delle volte contraddicono le nostre parole. E poi c’è la paura della società, sempre più narcisista, basata sull’ideale della vergogna, dove l’esposizione del corpo è richiesta, dove occorre saperci fare, sapersi presentare, dove è fondamentale non vergognarsi.
Una società, quella attuale, liquida, che non tollera la goffaggine o una certa sensazione di bruttezza, una società che va sempre più veloce e che non aspetta nessuno, non dà il tempo a chi arranca di stare al passo. Ecco è in questa società che vivono i nostri ragazzi, i nostri figli .
Questa è una realtà che ad alcuni ragazzi spaventa, del resto non ci vuole poco a comprenderlo. A noi quindi non rimane altro che comprendere le loro reazioni, aiutarli nella paura e incoraggiarli, oltre che recitare un profondo mea culpa. Dovremmo diventare più onesti nei loro confronti. Ammiro quei pochi giovani che si ribellano, quelli che affrontano di petto incertezze e problemi di questo tempo ma mi sentirei inutile come uomo se non pensassi e mi dimenticassi di tutti coloro che invece non trovano il coraggio, che arrancano, che soffrono di pressioni enormi e di aspettative sempre maggiori.
Hikikomori, dal giapponese “stare in disparte”, “isolarsi”. Oltre un milione di ragazzi in Giappone vive isolato nella propria stanza senza mai uscire di casa. In Italia sono oltre quarantamila, in America oltre cinquecentomila. Gli hikikomori sono i nostri figli che non hanno retto alle pressioni della società, sono quei ragazzi che non si sono sentiti a proprio agio con il proprio corpo ritenendolo inadeguato e non sto parlando del corpo fisico ma dell’immagine che essi vedono e hanno di sé. Sono coloro i quali cercano nel mondo virtuale di costruire relazioni più umane, più vere e più adatte, quelle relazioni che noi riteniamo inutili se non finalizzate a qualcosa. Nella rete, quella digitale, questi ragazzi si sentono protetti, lì si possono muovere liberamente perché il corpo non c’è e non hanno bisogno di nascondersi e se si toglie loro questa protezione altro non si fa che renderli indifesi. Il ritiro mette al sicuro il ragazzo che potrebbe invece avere dubbi Amletici estremi. Queste le note di regia, solo scuse.
Questo film è dedicato a tutti i ragazzi hikikomori del mondo.

Roberto Gasparro