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Note di regia di "Pinoquo"


Note di regia di
"Pinoquo" è soprattutto caos. È perdere il controllo di una trama, naufragare nel casuale, nell’abisso di simboli di cui la realtà è gonfia. Avevo programmato di essere un’anima onnisciente che vaga in modo random dentro la serata di più personaggi, che saltella da uno sguardo all’altro di un gruppo di persone che litigano e si attraggano, che si odiano e condividono sospetti; l’anima onnisciente lei stessa confusa e sbandata, alla ricerca di epifanie racchiuse nei comportamenti di queste persone e negli ambienti con cui queste persone interagiscono. Come guardare dei pesci dentro un acquario: osservarne i movimenti, gli sguardi dietro il vetro, immaginarne gli inganni, i desideri, le falsità. Anche per questa semi-mancanza di un protagonista (anche se poi un protagonista effettivamente direi che c’è: un collante tra tutte le situazioni, un terremoto che unisce tutti i personaggi, e sta in quell’unico elemento femminile che i maschi non comprendono e che li unisce tutti e ne porta a sfogare le passioni, i diverbi, gli affetti, gli scontri), per questa semimancanza "Pinoquo" è soprattutto atmosfera e soprattutto vibe, nel senso che si muove più come un quadro impressionista che come una drammaturgia: più che sui fatti della realtà, Pinoquo si basa sull’impressione della realtà. E lo fa nello stesso modo salterino della realtà contemporanea, una realtà di continua frammentazione e scrolling, di facce decontestualizzate e di argomentazioni lasciate a metà o confuse con altre spiegazioni.
Cosa volevo indagare attraverso questo metodo? Perché l’ho fatto proprio così? Non so bene spiegarlo. So che le immagini in intelligenza artificiale di Rafman mi avevano colpito e che dentro i visi spappolati e frantumati di quelle opere c’era tutta la confusione che sentivo aleggiare dentro di me e che quelle opere mi avevano fatto cominciare a pensare (così come molta altra arte in IA) che anche il cinema dovesse procurare quel tipo di descrizione impressionista della realtà. Questo perché la realtà mi sembra molto più simile ad un’impressione che ad un fatto concreto.
Posso anche dire che è stato tutto un modo per tentare delle trovate narrative che da un po’ mi allettavano. Avevo messo l’occhio da un paio di anni su degli articoli di giornale che parlavano di irruzioni notturne dentro la scuola e mi sembrava l’atmosfera perfetta per ricongiungermi ad alcuni ricordi e antiche lotte: l’odio verso le istituzioni, la presenza cupa e inquietante del “sistema” (sotto forma di un edificio brutalista, addormentato ma vigile; una scuola simile ad un panopticon, ad una prigione). E poi quel fatto accaduto in non so quante irruzioni abusive: estintori aperti, nubi gigantesche nei corridoi, ragazzini persi dentro la nebbia.
Come regista volevo staccarmi in buona parte da quel cinema del reale che era stato fondamento del primo corto, ma senza ancora rifiutarlo del tutto (anzi, ancora apprezzandone molti lati); muovermi liberamente verso le mie astrazioni, giocare col sognante, con la poesia, con la verosimiglianza e allo stesso tempo con la fantasia più libera; giocare con questa frammentazione continua e sovraccarica di informazioni che è il nostro tempo, con questi sbalzi schizofrenici di umore e intenzione che è la mente che vivo.
E poi giocare col tradimento, con la sfiducia amorosa, parlare dell’inquietudine che una femmina fatale aveva portato nella mia vita. Volevo distruggere, ma volevo anche dolcezza e alla fine la potenza dell’amicizia è venuta a salvarmi. Mi ha donato quel finale di ricongiungimento e mi ha donato dei compagni di lavoro dalla profonda lealtà e ispirazione: in montaggio, nella fotografia, nelle musiche. Così, sia nella finzione che nella vita reale, l’affetto sincero ha dato un senso al caotico e ne ha scovato un’agrodolce risoluzione: i legami come ragione di accettazione e non rifiuto del mondo, come lingua comune di cui avere fiducia, tramite cui restare a galla quando tutto è caos. Così, con una metafora figurativa, mi viene da dire che "Pinoquo" è un mostriciattolo che viene dal sottosuolo, dall’imbuto nero, ma che si muove verso la luce. È un patto di sangue coi tuoi fratelli, è parlare di amicizie immortali e, tra le mille avventure, sentire la voglia di crescere, di trovare nuovi spazi e nuovi confronti.

Federico Dematte'