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Note di regia di "Dalla Nascita"


Note di regia di
Liberamente tratto dal racconto “The Birthmark - La Voglia” di Nathaniel Hawthorne, il film vuole ribaltare la visione cupa e pessimistica della novella, traendo spunto da un particolare cui fa riferimento lo stesso scrittore americano, presente proprio sull’ultima pagina, a un passo dal finale, associato alla soggettività plausibile della vicenda. “Dalla Nascita” tratta in una chiave onirica, da thriller psicologico con infiltrazioni orrorifiche, sia la fiducia cieca, religiosa, nei riguardi della scienza medica che l’ossessione nei riguardi della perfettibilità estetica. Può una lieve imperfezione, un segno, una “macchia”, per dirla con le parole dell’Ombra, dell’alter ego del protagonista, figura che cerca di farlo riflettere provocatoriamente, divenire un ostacolo allo sviluppo di una relazione sentimentale? Sembrerebbe di sì, se non si accetta la composizione stratificata e mutevole della natura umana. In tal senso, si cela anche una smania di potenza. Ambire al miracolo, nell’incapacità di compierlo all’interno della relazione. E qui veniamo al filo che tesse e unisce tutta la storia: la storia d’amore. Il fatto di non accettarla così com’è, per l’appunto dalla nascita, non può uniformarsi a quella che è la concezione dell’amore incondizionato. Oltretutto, dalla nascita sta a significare anche una sorta di condanna che la protagonista sembra portarsi appresso sulle sue stesse spalle, come se la cappa di quel “marchio” la conducesse costantemente ad un abbassamento delle proprie forme di autodifesa e protezione dalla ingerenze delle persone a lei vicine, in questo caso dal tormentato Giorgio. Il corto inizia con un destabilizzante, lacerante incubo, a sottolineare il groviglio apparentemente inestricabile che consuma tanto lui, quanto lei. Se Giorgio è succube di lei, Alma lo è di lui. Tutti dipendono da qualcun altro, qualcos’altro. Da uno schema mentale preconcetto, da ribaltare, per poter tornare alla vita. Lo stesso Amin, la figura oscura, dipende dalle bugie che la coppia si racconta pur di tirare ad andare avanti negli agi, costretto a fare la “macchietta”, a recitare una parte, nel tentativo di salvaguardare, come voce della coscienza, l’anima di Giorgio dal baratro. Alma, a sua volta, riflette sulle sue scelte e al contempo ammette di subire la tentazione di quello che sembra essere, per tutti, il richiamo oscuro a un disegno più grande. Un richiamo oscuro che può essere reciso, come insegna il saggio anziano, semplicemente mutando prospettiva alla visione dei fatti. Certe ferite ce le portiamo dietro sin dalla nascita e certi rapporti servono proprio a farcele individuare. Solo allora quei marchi possono tramutarsi in semplici macchie che compaiono o scompaiono a secondo di quale punto di vista cogliamo della nostra realtà (o per meglio dire il Sogno).
Dal punto di vista formale e stilistico ha i tratti di un certo cinema di genere horror fantastico italiano, con sospensioni riflessive che inglobano le atmosfere di certi autori anglosassoni e/o nordici. La linea, il sottile confine tra realtà e immaginazione, sogno o fantasia, si consuma in una sorta di limbo, nel quale tutto è possibile. E riflette un po' quella che è la mia visione del cinema, ambiziosamente metafisica, pur con tutti i suoi limiti espositivi e nella sua sotterranea potenza volta a rivendicare un posto creativo, una voce di sostanza capace d’innalzarsi al di sopra della mancanza di un budget che per un artista può e deve necessariamente essere intellettuale.

Federico Mattioni