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Note di regia di "Dante"


Note di regia di
A farmi intravedere la possibilità di raccontare quell’essere umano ineffabile che è stato l’Alighieri è stata la scoperta della missione di Giovanni Boccaccio nel 1350: quella di portare a Ravenna, alla figlia di Dante, una borsa di dieci fiorini per risarcirla del tanto male che i fiorentini avevano fatto a suo padre. La gran parte della mia narrazione la debbo quindi allo stesso Boccaccio che di Dante fu biografo e appassionato divulgatore. Il resto è invece frutto di congetture e suggestioni che mi provengono da un ventennio di disparate letture, in una continua consultazione degli esimi dantisti citati in esergo. Nella realtà Dante era entrato nella mia vita dapprima attraverso la lettura di cronisti a lui coevi (Villani, Vellluti, Compagni etc) e dei tanti saggi e le tante biografie accademiche e non. Furono quelle letture a convincermi di come fosse lasciata sul fondo, sfocatissima, la sua umanità, seppure così esplicita...

Più o meno in quegli anni lessi “La Vita Nova”, quel prosimetro d’amore che Dante ventenne si trovò a scrivere all’indomani della morte di Beatrice Portinari. Sufficiente a far sì che mi riconoscessi nella gran parte delle emozioni di quel giovane remoto, facessi mio il tentativo di tenere in vita, attraverso la sublimità della poesia, quell’essere celestiale che fu per lui Beatrice Portinari. Poesia il cui appalesarsi avviene in Dante attraverso la sublimazione del dolore: la perdita della madre nella sua infanzia, la morte di Beatrice nella sua giovinezza, la condanna all’esilio del migliore dei suoi amici, nell’età adulta, l’ingiusta dannazione, estesa ai suoi figli, nella maturità. E’ la conferma di quanto il dolore promuova l’essere umano a una più alta conoscenza.

Pupi Avati