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RITA ABELA - "Sono una ragazza... fortunata!"


L’attrice siciliana è tra le protagoniste del “western garibaldino” “Il mio corpo vi seppellirà” di Giovanni La Pàrola disponibile on demand sulle piattaforme


RITA ABELA -
Rita Abela
Classe 1984, entusiasta della vita e del suo lavoro, un’attrice profonda e sensibile che trae insegnamento da ogni esperienza e vede il lato positivo anche nei periodi di crisi come quello che stiamo vivendo. Rita Abela si forma a teatro, il primo amore che l’ha conquistata quando era solo una bambina: “Mia madre mi accompagnava sempre a vedere le rappresentazioni delle tragedie classiche al Teatro Greco di Siracusa, la mia città, ho visto Valeria Moriconi interpretare Medea e sono rimasta folgorata, ho detto a mia madre che da grande volevo fare quello”.

In questi giorni la possiamo vedere all’opera su tutte le principali piattaforme nel western tutto al femminile “Il mio corpo vi seppellirà” ambientato nel 1860 nel Regno delle due Sicilie all’alba dello sbarco delle truppe garibaldine.

Chi è il tuo personaggio?

"Interpreto Ciccilla una delle quattro “Drude” protagoniste, quattro bandite, si parla, quindi, di brigantaggio al femminile, queste donne non sono la mamma, la moglie, la figlia di ma sono proprio loro il motore dell’azione. Si sono spogliate di qualsiasi ruolo di tipo accudente che viene normalmente conferito alle donne, l’unica cura che hanno è per sé stesse e per la loro piccola famiglia di donne. Ciccilla tra le quattro credo che sia la più istintiva, parlo di un istinto animalesco, nel senso che lei proprio “annusa” la gente per capirla, è diffidente, compie delle azioni efferatissime che provengono da un passato molto violento. Questo sentimento tra queste donne, che chiamo di sorellanza, assume un valore ancora più alto perché nello studio che ho fatto sul personaggio di Ciccilla ho capito che le “Drude” sono forse l’unica forma di affettività con la quale lei viene in contatto, per questo diventano per lei preziose e difende il territorio come un lupo. È una storia che parla di resistenza e di prepotenti che mettono in atto dei soprusi nei confronti di quelli che sono i più deboli della società. È un film che è stato scritto benissimo da Alessia Lepore e il regista Giovanni La Pàrola, gioca su diversi livelli, c’è il pulp, l’azione, con dei personaggi che sono al limite del grottesco in certi momenti ma un istante dopo diventano di una crudeltà senza pari ed è tutto reso in maniera credibile e autentica".

Si parla di sorellanza, di donne che prendono in mano le redini del loro destino, in un certo senso è anche un film “attuale”?

"Per quanto riguarda le tematiche universali sì, assolutamente, ma lo è da diversi punti di vista, lo è anche nel fatto che mette alla luce un periodo storico nel quale i contadini lavoravano la terra ma a loro non apparteneva niente, raccoglievano le briciole di questa grande fatica e questa cosa viene anche un po’ raccontata nel film da una di noi, da lì nasce la ribellione. Oggi in effetti ci rendiamo conto che forse dovremmo prenderci di più quello che ci spetta anche se non è semplice. In questo periodo ho fatto tante riflessioni sulla condizione dei lavoratori dello spettacolo dal vivo, se pensiamo che ci sono oltre 300.000 persone che sono quasi dimenticate da uno Stato che non ha messo in atto le giuste tutele per un settore che forse viene considerato “inutile”, allora ti rendi conto che questo film forse una lezioncina possa darcela, anche e soprattutto rispetto alla tematica femminile alla quale sono legatissima, sono, infatti, socia di Ipazia, un centro anti-violenza a Siracusa, e sono degli argomenti che affronto tutti i giorni".

Come stai vivendo da attrice le chiusure di cinema e teatri a causa della pandemia?

"In questo periodo ho continuato a lavorare, sono sono stata impegnata su diversi set, ma quello che non viene percepito è che andare al cinema, andare a teatro è un atto collettivo, di condivisione necessario. Io non sono per le riaperture a tutti i costi ma per le tutele sì, perché mancano ammortizzatori sociali e provvedimenti adeguati a fronteggiare un periodo di crisi di questo tipo. Per quanto riguarda la mia sfera personale poco prima del primo lockdown ero appena tornata da una tournée teatrale con Leo Gullotta, eravamo andati in giro con uno spettacolo di Pirandello, e mi sono ritrovata bloccata a Siracusa per mesi. Da un punto di vista personale ho utilizzato questo tempo per fermarmi, per guardarmi dentro, per curare l’anima, il corpo, per stare nel vuoto, mi è servito accogliere il vuoto, viverlo e imparare ad amarlo. Noi attori siamo un po’ abituati a questi periodi di “vuoto”, dopo che finisce una scrittura tutto si ferma, può succedere che dopo una settimana ricominci con un altro lavoro ma non è detto, per cui siamo abituati a stare in equilibrio su questo filo. Un “blocco” così lungo, però, non l’avevo mai vissuto".

Dopo una piccola apparizione nella seconda stagione della serie “Il Cacciatore” ritorni nella terza parte, che vedremo in autunno su Rai2…

"Interpreto Giusy Vitale che nelle nuove puntate ha uno sviluppo più ampio, è un personaggio veramente esistito e questo da attrice mi pone in un’ottica diversa, ha richiesto uno studio molto impegnativo. Giusy Vitale è un personaggio che viene studiato anche nelle riviste internazionali perché è la prima donna ad essere a capo di un mandamento mafioso e quindi ha delle sfumature molto stimolanti. Mi ritengo una persona fortunata perché fino ad adesso tutti i contesti lavorativi nei quali mi sono trovata, sia in teatro che in tv che nel cinema, sono stati stupendi, forse perché affronto con gioia ogni aspetto di questo lavoro. C’è una macchina che si muove attorno, tanti reparti, centinaia di persone, che poi sono quelle che non vengono menzionate nel prodotto finale perché si pensa agli interpreti e alla regia, che fanno un lavoro eccezionale e in ogni set che ho frequentato ho incontrato delle persone meravigliose, con uno spirito di abnegazione, una professionalità e un amore per questo mestiere che si sposa tanto con il mio modo di vivere il lavoro".

E i grandi professionisti con i quali hai lavorato al cinema e in teatro cosa ti hanno lasciato?

"Pupi Avati è stato illuminante perché mi ha insegnato tantissimo del linguaggio cinematografico, il lavoro con lui lo porto nel cuore. Per quanto riguarda il teatro ho avuto degli incontri fortunati come quello con Micaela Esdra dirette negli spettacoli da Walter Pagliaro, lei è una professionista che fa un uso della voce incredibile, in quel caso ho imparato lo studio dei personaggi e del testo, Pagliaro mi ha insegnato che ogni parola è scritta su un copione per un motivo, se c’è una pausa c’è un motivo, va onorato lo sforzo di un autore. E poi un’altra esperienza che mi porto nel cuore è il lavoro con Leo Gullotta diretti da Fabio Grossi, è una lezione continua vedere e stare in scena con un gigante di questo tipo, è magnetico".

13/03/2021, 10:00

Caterina Sabato