Festival del Cinema Città di Spello e dei Borghi Umbri
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Note di regia di "Om Devi: Sheroes Revolution"


Note di regia di
La prima volta che ho posato gli occhi sull’India è stato dieci anni fa, quando per un viaggio di tre mesi che finì per durare due anni mi sono perso tra le sue capitali antiche e le sue campagne sperdute, alla ricerca di quello smarrimento e di quel ricongiungimento con se stessi che solo il viaggio sa generare. Nel 2013, quando l’India è finita sulle pagine dei giornali di tutto il mondo per il cosiddetto “New Delhi case”, la violenza di gruppo su una ragazza in un autobus a New Delhi, lo sdegno di migliaia di indiani verso questo drammatico episodio di violenza di genere ha fatto irruzione nelle pagine della storia contemporanea, dando inizio a un dibattito interno per la difesa dei diritti civili e di genere. Om Devi: Sheroes Revolution nasce dal desiderio di vedere, comprendere e osservare pezzi di questa nuova storia indiana, di cui Anjali, Shabnam e Devya Arya sono interpreti e protagoniste, in un’India che cambia e ogni giorno cerca il suo punto di equilibrio in tema di diritti civili, e dove mito, religione, storia e antropologia si mescolano senza soluzione di continuità.

Ho optato per un racconto immersivo a 360° per creare una connessione paritaria con le protagoniste e per avvicinare gli spettatori quanto più possibile all’esperienza avvolgente che si prova visitando un Paese straniero. Lo specifico processo di lavoro per le riprese a 360° ha reso necessario allentare il controllo sui personaggi, visto che durante le riprese tutta la troupe deve lasciare la scena per non essere inquadrata. Questa caratteristica del documentario a 360° può sembrare un limite, ma si è rivelata una grande alleata per catturare momenti di vita naturali e spontanei, che in alcuni casi non avremmo mai potuto ottenere se fossimo rimasti dietro alla telecamera. La dimensione mitologica del racconto di Om Devi: Sheroes Revolution, invece, è un omaggio ai riferimenti concettuali, religiosi e di costume dei tre personaggi, che incontrano nel mito del femminino sacro indiano una mediazione tra la tradizione e la modernità e una legittimazione per le loro lotte progressiste. Il viaggio, si sa, è spesso un modo per guardarsi e specchiarsi nell’altro, alla ricerca di ispirazione, confronto e di qualche brandello dimenticato di sé. In questo caso, le origini di questo documentario vanno cercate nel nostro Paese e nei tanti casi di violenza di genere degli ultimi anni. Una referenza importante che mi ha guidato nell’incontro con le Sheroes è stata la lettura del libro di Lucia Annibali Io ci sono, una testimonianza importante che ci ricorda che simili episodi non sono una prerogativa dei Paesi lontani.

Claudio Casale