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DANIEL TERRANEGRA - Il mio cattivo tra Snatch e Bregoviç


L’attore romano interpreta un criminale slavo in “Cobra non è” opera prima di Mauro Russo dal 30 aprile disponibile su Amazon distribuito da 102 Distribution e prodotto da Giallo Limone Movie


DANIEL TERRANEGRA - Il mio cattivo tra Snatch e Bregoviç
Daniel Terranegra
Formatosi al Centro Internazionale La Cometa di Roma Daniel Terranegra, classe 1979, prima di approdare al cinema e alla tv lavora in diversi teatri off, in spettacoli sperimentali, arrivando anche sul palco del teatro India di Roma con “Girotondo” di A. Schintzler per la regia di Simone Giustinelli. Nel 2014 è protagonista della web series “Tutte le ragazze con una certa cultura” diretta da Felice Bagnato, premiata come migliore serie italiana al Roma Web Fest. Arriva in tv nel 2015 in “Squadra Mobile 2”, protagonista di una puntata al fianco di Giorgio Tirabassi e nel 2017 nel film “De Andrè – Principe Libero” di Luca Facchini con protagonista Luca Marinelli, interpreta Ottavio, uno dei migliori amici del cantautore: “Un’esperienza meravigliosa, sono stato a casa di De Andrè in Sardegna, a Genova, nei bar che frequentava, un set indimenticabile. Di Marinelli mi imbarazza la sua intelligenza, è una persona molto umana, della sua generazione è il mio attore preferito dopo Elio Germano.”

In "Cobra non è" di Mauro Russo, una crime comedy con protagonisti Gianluca di Gennaro, Denise Capezza, Nicola Nocella, Federico Rosati e Roberto Zibetti, Daniel Terranegra interpreta Goran, un criminale slavo rabbioso e senza scrupoli.

Chi è Goran?

"È un personaggio folcloristico che sono andato a ripescare dall’amore che ho per tutta la cultura dell’Europa dell’Est, quindi questo mi ha dato la possibilità di lavorare sulla musicalità della lingua. È un personaggio grottesco, un cattivo disadattato che sfoga le sue nevrosi perché non ha quella potenza che può avere, per esempio, un villain come Mr. Smith in “Matrix”. Goran non ha potere, è cattivo perché vuole quel potere e in contrapposizione ha un personaggio come Angela che si è guadagnata la fiducia del padre di Goran (Gigi Savoia) curando la moglie malata. Goran non sopporta questa cosa: è un po’ un complesso di Edipo rivolto però alla sorella acquisita che gli ha rubato il ruolo che secondo lui gli spettava per diritto di sangue. Questo è il punto di partenza dal quale lui sfoga tutta la rabbia nutrita dall’ambiente in cui è cresciuto: un campo nomadi, tra prostituzione, droga e criminalità".

Come ti sei preparato per avere un accento slavo così naturale?

"Per la musicalità che ha la lingua slava mi sono ispirato a “The Snatch” e alla musica di Goran Bregović: durante la preparazione del personaggio ho sempre ascoltato questa musica perché mi aiutava molto con l’accento. Loro hanno musicalità nel linguaggio, è affascinante, caratteristico: è una nota romantica, come un violino balcanico, è una lingua poetica e sentirla in un cattivo dà colore".

“Cobra non è” è il primo lungometraggio del regista salentino Mauro Russo, cosa significa per un attore prendere parte ad un esordio?

"Far parte di un’opera prima è un circo: questo film è un circo. I mille problemi logistici che sono nati mi hanno fatto assaporare veramente il cinema. A oggi mi manca e vorrei tanto lavorare con un regista importante per scoprire altre cose però il romanticismo che si prova lavorando ad un’opera prima con mille difficoltà, che poi riesce a uscire come in questo caso, è uno dei motivi per il quale amo il mio mestiere".

Il film è un chiaro omaggio a Tarantino e al cinema italiano di genere anni ’70 e ’80, fonti di ispirazione per tanti giovani registi, secondo te perché questo tipo di cinema affascina così tanto? Quali sono gli elementi che lo hanno reso cult?

"Quello che rende vivo questo genere di film è il fatto che proprio perché si tratta di b-movies ha potuto permettersi di sperimentare delle cose che poi sono diventate cult nel grande cinema: determinate cose nel cinema classico non venivano accettate, il cinema di genere era come Marcel Duchamp che fa i baffi a “La Gioconda”. Un mondo così serve a sperimentare qualcosa che poi magari può essere acquisito da un film “convenzionale”, è come se fosse un laboratorio di ricerca nel quale i registi giovani possono esprimersi, anche perché nel 90% dei casi il b-movie ha bisogno di molti meno soldi. Il film di genere, secondo me, rimane contemporaneo perché in fondo è soltanto un modo diverso di guardare la realtà".

Mauro Russo si è avvalso della consulenza artistica di Ruggero Deodato, hai avuto la possibilità di conoscerlo sul set?

"Sì, l’ho conosciuto e abbiamo avuto modo di parlare molto durante le riprese. Mi ripeteva sempre: “Con questa faccia avresti lavorato molto negli anni ’70, hai la faccia da far west!”. Mi ha fatto molto piacere anche perché io adoro il western italiano. È una bellissima persona, sembra un ragazzino nel modo in cui guarda le cose, sempre tagliente e sarcastico. Mauro Russo gli ha fatto girare una scena di tortura che sarà presente nella versione integrale del film. Poteva fargli fare un semplice cameo ma Mauro ha pensato che questo era il migliore omaggio che poteva fare a Deodato e al suo cinema".

Stiamo vivendo un periodo storico, in una realtà decisamente distopica, come artista come stai vivendo questa nuova vita dal futuro ancora più incerto? Quali saranno le conseguenze per il cinema, per il teatro, per l’arte secondo te?

"Il momento credo che abbia due lati: quello estremamente negativo che è quello che concerne il dopo e quindi il recupero e la ripresa di tutte le attività, il cinema, la riapertura dei set, dei teatri. Sta cambiando il mondo in un modo che ancora non conosciamo quindi è diventato motivo di paura per tutti quanti ma, per le persone come me, per gli artisti, ha creato anche un pizzico di curiosità che ci rende più vivi di prima. L’attesa di questo ricominciare, anche se mi fa tanta paura, la vedo come una possibilità per il nostro lavoro e soprattutto per la società. Sarà dura ricominciare perché noi viviamo in funzione del pubblico, degli altri, delle aggregazioni. Per fortuna ci sono le piattaforme streaming che in questo momento ci permettono di fruire dei film, Amazon con "Cobra non è" ci sta dando una grande opportunità però il cinema è per le sale, sempre aiutato, come in questo caso, dalle piattaforme. Mi fa molto paura che i teatri siano chiusi: io ho lavorato molto di più in teatro che al cinema. Esiste un micromondo dietro che lavora per noi, le maestranze, un mondo di persone che aspetta di tornare a lavoro. Stanno nascendo delle iniziative molto importanti alle quali sto prendendo parte e con le quali stiamo provando a creare una categoria per l’audiovisivo e per lo spettacolo dal vivo proprio adesso che si è fermato tutto, questa per me è la più importante necessità. Il modello migliore è sicuramente quello francese: gli attori sono riconosciuti come categoria alla pari di tutte le altre categorie, vengono riconosciuti a livello sociale, vengono sostenuti, viene dato loro un sussidio, la società investe di più in loro".

Avevi dei progetti in corso prima del lockdown?

"Ho fatto due provini per un film e una serie che per ora, ovviamente, non si sa quando partiranno come produzioni, incrocio le dita. E poi sto lavorando sulla quarta edizione del mio spettacolo su Majakovskij insieme a Livia Filippi e al musicista Fabio D’Onofrio, uno spettacolo che ha debuttato lo scorso anno al Cinema Palazzo di Roma con la supervisione artistica di Marcello Fonte".

22/04/2020, 10:00

Caterina Sabato