Note di regia di "Amleto - La Serie"


Note di regia di
Amleto - La Serie
Partiamo dal presupposto che i social network, intesi nell’eccezione di contenitori in cui si rovesciano e si raccontano storie, si sono sostituiti in maniera preponderante alle classiche forme d’arte quali la letteratura, il cinema, il teatro. Le storie personali declinate su Facebook sono diventate il racconto in cui evade la nostra quotidianità. Considerata questa premessa è interessante osservare come all’interno delle strutture dei social si sveli una vera e propria struttura narrativa con tempi e modi di narrazione che sembrano dettare nuove leggi, non solo nei tempi propri della fruizione, ma proprio nelle dinamiche di una storia e dello svolgimento di un racconto qualsiasi esso sia.
A questo proposito ci siamo soffermate, non a caso, su Facebook. A differenza di altri social network, Facebook unisce i maggiori modelli sia di linguaggio, che di comunicazione: il racconto per immagine, il racconto per video, il racconto per post e, quindi, per scrittura.
Volendo trovare il corrispettivo “artistico” e “spettaccolare” di questi tre linguaggi Fotografia, Cinema (nella sua eccezione più contemporanea di videomaking) e della letteratura. Il che ci ha fatto subito riflettere su come il luogo fisico Facebook, insieme alla sua propria struttura, potesse fornirci un modello per un nuovo genere che unisse e superasse queste forme e le mettesse a servizio dei nuovi linguaggi, dei nuovi tempi di fruizione, del nuovo modo di intendere e recepire i contenuti. Embrionalmente tutto questo già avviene su Facebook, che si presenta, possiamo dire osando un po’, come una nuova epica. E da qui che ci siamo dette
“E se prendessimo un grande classico e lo riscrivessimo tenendo conto delle nuove declinazioni e del tempo e del linguaggio che derivano da un social come Facebook? E se questa modalità potesse divenire un vero e proprio format sino a diventare proprio un genere che nasce dall’unione di Social, cinema, letteratura, teatro? Se si iniziasse poi a scrivere contenuti originali prendendo per buone le regole spazio temporali non più della sceneggiatura o del romanzo ma proprio di Facebook? Se un film o un libro corrispondessero ad un anno di contenuti postati”?
Ed ecco che, per il momento, abbiamo deciso di fare questo esperimento con un classico tra i classici, Amleto. Che diventa la “stagione zero” di un nuovo format.
Lo abbiamo girato come se stessimo girando una normale serie, lo abbiamo montato rispettando leggi e regole proprie della narrazione cinematografica e poi lo abbiamo riaperto, rispacchettato e sceneggiato appositamente per Facebook, che diventa così la sua meta-drammaturgia. La storia di Amleto, rispettando fedelmente il testo originale, sarà raccontata utilizzando tutte le forme e i formati nati dai social network, passando anche per gif, emoticon, loop-video, in modalità youtuber.
Tutto questo sarà estrapolato, però, da un base di lavoro come detto ‘classica’, propria del cinema. Del social in questo caso specifico, non ci interessa tanto la possibilità che l’utente ha di interagire con l’opera - in tal senso già sono stati fatti esperimenti con spin off e contenuti extra - ma ci interessa il modo in cui l’utente può approcciare ad un racconto, ad una storia.
Il fatto che poi questa modalità permetta un’interazione costante è un elemento secondario, ma non di minore importanza, che con il tempo svilupperemo. Ci interessa vedere che succede a rendere veramente attuale il tempo del racconto, dove tempo non è solo l’epoca in cui si svolge il racconto, ma tempo è “I tempi con cui e in cui si snoda e si svolge un racconto”. In questo modo “l’arte” o comunque l’opera letteraria si andrebbe a mischiare e a confondere con la vita reale, diventando non solo sguardo sulla vita e sul mondo, ma diventando vita e mondo, diventando carne!

In questa social serie Amleto è interpretato da una donna, che, però, è vestita di tutto punto come un uomo. Il fatto che il nostro Principe di Danimarca sia maschio o femmina è per noi relativo, ancor più se è vero che fino al Seicento gli uomini recitavano le parti femminili senza che questo togliesse potenza al racconto o alla parola.
Amleto supera il genere, è uomo che si fa creatura, che diventa essere. Non è l’artista, né il filosofo, è forse il genio, seppure questo aspetto solitamente esce poco fuori nelle varie interpretazioni che ne sono state fatte. Amleto è il maschile e il femminile messi uno a servizio dell’altro e questo fa sicuramente sì, da un lato puramente tecnico e se vogliamo anche umano, che sia molto più facile nel doverlo interpretare arrivarci direttamente attraverso il femminile e non viceversa. Il contrario avrebbe rischiato di doverne forzare la recitazione e il rischio e il pericolo di cadere in delle esagerazioni o in delle forzature simboliche; ciò, tenendo per buono questo pensiero:
“Quando l’uomo supera se stesso, e governa le sue pulsioni ecco che il femminile si converte in lui, perdendo a sua volta certe dannose emotività che al contrario sono la pulsione e la tentazione della donna. Da ciò viene fuori un essere che sa ritornare ai primordi del maschile e del femminile, scartando ciò che è dell’uomo e della donna a favore dell’essere. Questo ci rende vicini al divino”.
Amleto per noi è questo, oltre ad essere il pensiero, lo sguardo sugli uomini e agli uomini, il gioco, il rovesciamento delle situazioni, Amleto si muove nella tragedia con la naturalezza, l’incoscienza e l’ironia di chi pensa la vita stessa come tragedia. Dinanzi a tutto ciò, diventa un dettaglio se l’attore sia uomo o donna, fermo restando che volendo forzare la mano e giocare di interpretazione e metafora questo Amleto androgino nell’aspetto fisico, indefinito nella sessualità, al di fuori di categorie comportamentali dei genere, con il suo abbigliamento tra l’hipster e lo street style ci fa tanto ricordare i millenials, le nuove generazioni. Il nostro Amleto, se proprio dobbiamo definirlo sulla questione del genere, non è un travestito, ma, piuttosto, un “convertito”.
In questo caso Amleto non è solo donna, ma è anche una delle due registe della social serie, Donatella Furino. Uno dei primi motivi per cui Amleto è Donatella e viceversa sta nel modo di recitare di Donatella: il suo modo di giocare con il verso, di uscire dal personaggio pur standogli costantemente dentro - o meglio di attaccarselo addosso - di non studiare il personaggio con strumenti di analisi del testo che guardano alla psicologia, ma di “farselo suonare direttamente in bocca”, di dargli corpo attraverso le parole che dice, di non provare mai, se non attraverso una costante memorizzazione delle parole che il personaggio dice. Uno dei metodi che ha usato per arrivare ad essere Amleto è stato appunto diventare “La memoria di Amleto, le sue parole”.

Il tipo di montaggio che abbiamo usato per la versione della serie montata in 15 puntate da 15 minuti guarda anch’esso, come d’altronde tutto il nostro lavoro, ai tempi e alle modalità di fruizione figli del web. È proprio partendo da questo presupposto e dal fatto che il linguaggio dei personaggi di Amleto è tutt’altro che naturalistico (sarebbe stato difficile oggi seguire una scena di 15 minuti, fatta essenzialmente di parola), che le varie scene che compongono i cinque atti dell’Amleto vengano mostrate sincronicamente attraverso l’espediente della griglia delle telecamere di sorveglianza.
Questo oltre a dare un certo ritmo alla narrazione e a permetterci di mantenere il testo originale, adattandolo ai tempi di fruizione del cinema prima e del web poi, ci permette di costruire anche una meta-drammaturgia, facendo assumere quindi al montaggio un carattere drammaturgico narrativo.
Una scelta registica per consentire allo spettatore di vedere lo stesso personaggio in più situazioni contemporaneamente. Lo spunto ce lo ha suggerito lo stesso Shakespeare: Amleto sembra sempre che già sappia e conosca intenzioni e parole dei singoli personaggi.
A partire da ciò abbiamo immaginato un Amleto che, dopo la morte del padre, ha fatto installare nel regno, segretamente, decine di telecamere di video-sorveglianza. Dopo la sua morte sarà Orazio, il suo migliore amico, a raccontarci attraverso quei nastri la sua storia per preghiera specifica dello stesso Principe ”Orazio vivi ancora in questo rude mondo per raccontare fedelmente di me e della mia storia”. E’ lo stesso Orazio a scegliere mano mano che la storia va avanti le melodie più adatte ai momenti narrati e ai personaggi presentati. Questo lo scopriremo, però, solo nella quindicesima puntata, quando Orazio si svelerà e ci mostrerà il computer da cui sarà mandata in streaming la vicenda.
Il montaggio in questo caso diventa una “sovra-drammaturgia”, un riadattamento vero e proprio del testo, gettando offrendo lo spunto per un lavoro di realtà aumentata in cui lo spettatore diventerebbe un secondo montatore: può decidere quale scena vedere prima, quando andare avanti o quando tornare indietro; quale musica scegliere per una determinata scena, metterla in pausa o aggiungere commenti. Tutto in un post su Facebook.

Emma Campili e Donatella Furino