FOREIGN OFFICE - "Parlami di Te" di Hervé Mimran
Talvolta un forte dispiacere, come la morte di una persona cara, può portare un individuo a cercare nel successo lavorativo quella motivazione alla vita che non trova più in famiglia. Purtroppo nemmeno la presenza di una figlia piccola, che necessita di amore, di ascolto e di attenzioni, riesce a vincere la corazza che ci si costruisce intorno. Neanche saperla infelice, sola e bisognosa di conforto riesce a sanare quell’equilibrio spezzato, che inevitabilmente porta alla distruzione di sé stessi.
Alain (
Fabrice Luchini) è un uomo di grande successo nel campo delle automobili, iperattivo, presuntuoso e costantemente antipatico con la gente, non ama relazionarsi con nessuno, dà ordini e pretende che si eseguano senza una minima forma di gentilezza, lavora incessantemente senza riposo portando all’estremo le sue forze, è il classico tipo che non ritiene necessario usare la parola ”grazie” e tratta chiunque da cretino.
Formidabile, incredibilmente misurato, bravo e mai eccessivo, ma odioso e cattivo al punto giusto, Luchini dà al personaggio la giusta intensità sia al perfido manager sia all’incredulo malato il quale, non più in grado di parlare correttamente, viene silurato dall’azienda perché gravemente “toccato” dall’ictus che lo stende da un giorno all’altro.
Non ascolta nessuno, né da sano né da malato, ma soprattutto non ascolta la figlia Julia (l’attrice Rebecca Marder brava e dal sorriso irresistibile) che oramai è una studentessa universitaria, piena di insicurezze e frustrazioni. Cresciuta da una governante (bravissima la caratterista Clémence Massart che accarezza il coniglio e ci chiacchera prima di ucciderlo per il pranzo) soffre della mancanza di affetto da parte del padre con cui non ha alcun rapporto, nonostante vivano nella stessa casa.
Dopo l’ictus, nonostante sia a rischio di vita, Alain continua a comportarsi da manager e si rifiuta di pensarsi malato grave, non vuole rendersi conto del suo effettivo stato di salute, del suo deficit cognitivo (carenza mnemonica e strascichi fisici) tanto che imperterrito pensa di portare a termine il suo incarico in azienda.
Ma deve per forza di cose affidarsi alle cure di una logopedista (Leila Bekhti), che chiama “la Psicopathe”, perché considera psicopatica a causa degli estenuanti esercizi mnemonici e di rieducazione che lei gli fa fare in ospedale e poi a casa, ma che Alain, da classico boss con delirio di onnipotenza, ritiene inutili e senza senso.
Luchini sottolinea alla perfezione, ma senza strafare, la sua totale incredulità: gli risulta strano e assurdo il modo in cui si è trasformata la sua vita da disabile (da grande oratore con autista ad uno che ha bisogno di un quadernetto per ritrovare la strada di casa).
Nonostante abbia perso tutto, Alain risulta però un vero un vincente, perché alla fine, riesce a capire il giusto senso della vita, dei sentimenti e dell’amore dei propri cari, riuscendo a recuperare l’affetto e l’amicizia delle persone che ci sono vicine e perché no, anche del cane.
Un uomo nuovo insomma, uno che riuscirà addirittura a scegliere di intraprendere il “Camino di Santiago” in compagnia del suo cane (cosa impensabile per “l’uomo di fretta” che era prima), e che lungo la via imparerà a conoscere sé stesso, a conoscere gli altri e ad intessere un nuovo rapporto con la figlia, uno che finalmente capirà quali sono le cose fondamentali per le quali vale la pena vivere.
Silvia Amadio07/02/2019, 14:55