Fondazione Fare Cinema
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Note di produzione di "Land"


Note di produzione di
Una scena di "Land"
Sono passati sette anni da quando Babak Jalali ci segnalò un articolo del Guardian che parlava della piaga dell’alcolismo in alcune riserve indiane del Nord America. L’articolo si concentrava in particolare sulla riserva di Pine Ridge, luogo simbolo della convivenza talvolta impossibile tra i nativi e i discendenti dei colonizzatori europei. In quell’articolo era impressionante leggere dati che sembravano descrivere una inarrestabile epidemia più che un problema sociale: morti precoci, suicidi, invalidità al lavoro e alla vita sin dalla più giovane età.
Babak, dopo la lettura di quell’articolo, ha trascorso settimane e poi mesi nelle riserve, ed ha immaginato la storia che viene raccontata in LAND. Una storia in cui il desolato fazzoletto di terra in cui sono confinati i Denetclaw diventa metafora di tutti i conflitti legati alle origini, alle razze e alle nazioni.
La storia produttiva del film ha rappresentato l’esatto contrario di ciò che viene narrato nel film. Il regista è iraniano ma vive ed ha studiato a Londra; i produttori sono europei e messicani; per sviluppare il progetto siamo stati a Sofia, Parigi, Torino; i finanziatori che hanno accettato con coraggio di sostenere Land hanno stanza in Qatar, ad Amsterdam, a Città del Messico; il film è ambientato negli Stati Uniti e i suoi attori protagonisti sono tutti nativi e statunitensi. Le riprese si sono svolte poco lontano da Tijuana, a pochi chilometri da quel muro di separazione di cui quest’anno si è tornato molto a parlare.
Le settimane della lavorazione restano come un ricordo indelebile per tutti coloro che vi hanno preso parte: sul set si parlavano correntemente sette lingue, dal farsi all’italiano all’olandese, e centinaia di volte si sono passati confini e controlli che oggi tornano a farsi troppo minacciosi e perentori.
LAND è un film apolide, o meglio con tante cittadinanze. Le cittadinanze di tutti coloro che ne hanno reso possibile la realizzazione.
Non lo nascondiamo, non è stato facile; sono stati sette anni di viaggi, incontri, burocrazia, dubbi, inciampi. Tutto su rotte transoceaniche.
Ma è stata un’esperienza preziosa che ci ha fatto crescere e che vale a nostro parere come testimonianza. E ogni volta che riguardiamo il film, sullo schermo ritroviamo la bellezza e l’intensità di ciò che abbiamo vissuto.