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BERLINALE 68 - "Land", film internazionale targato Rai


Il regista iraniano Babak Jalali ambienta in una riserva indiana negli Stati Uniti un film dal respiro internazionale. La condizione degli indiani d'America come esempio dell'imperialismo Usa e di una cultura politica che tende a escludere. Un film nato al Torino Film Lab co-prodotto dall'Italia (Asmara film e Rai Cinema), e da altri quattro paesi. A Berlino nella sezione Panorama. VIDEO INTERVISTA


BERLINALE  68 -
Un'immagine di "Land" di Babak Jalali
Un’idea giusta nata al Torino Film Lab: un regista iraniano, un co-produzione italiana Asmara film e Rai Cinema con Francia, Olanda, Messico e Qatar, una storia ambientata negli Usa, in una riserva indiana. Sembra proprio indovinato "Land", il film di Babak Jalali presentato alla Berlinale nella sezione Panorama e che nel suo complesso coglie il segno di un’internazionalizzazione dei prodotti sempre più attuale.

Le storie, tra metafore e paralleli, possono raccontare ogni popolo e ogni scontro, ma anche le abitudini di certi comportamenti. In Land, dal punto di vista iraniano, chiudere un popolo in una riserva sembra essere caratteristica degli Usa, che predilige confinare chi non riesce ad accettare, mettendo in atto sempre la stessa politica “estera” mirata sulla dominazione e l’esclusione e sull’annientamento di chi non risponde sì alla domanda di identificazione.

E dunque la riserva indiana, con le sue umanità relegate ai margini tra alcol, gioco d’azzardo e lavori precari, non è così lontana da altri paesi e altri popoli presi di mira e costretti, con embarghi e sanzioni, a limitare la vita e le speranza.

A fronte di un’idea indovinata, mostrare il disagio dell’esclusione proprio da dentro il territorio americano, quello che nel film stenta ad affermarsi è l’apporto artistico di riprese e montaggio. La lunghezza di ogni inquadratura è certamente un cifra stilistica iraniana, ma è anche una scelta che appesantisce notevolmente il film.

A fronte di situazioni e umanità di tutto interesse, gli interpreti sono essenziali e perfetti, il ritmo lento non fa che distrarre lo spettatore che si chiede intimamente di andare avanti, di passare oltre. Se ogni quadro fosse lungo un terzo in meno, il ritmo del film lo renderebbe molto più godibile, e acquisterebbe quel carattere internazionale che tutto il resto del progetto, come detto, possiede già dall’idea del soggetto.


Servizio di Stefano Amadio


19/02/2018, 00:01

Stefano Amadio